Sono state quasi 90mila le società di capitale fondate l’anno scorso in Italia. Tante? Poche? Beh, dipende. In effetti si tratta del 10,6% in meno rispetto al 2021, quando le nuove imprese avevano sfiorato quota 100mila. Ma bisogna considerare anche il fatto che due anni fa si è verificato un rimbalzo di ben il 22,1% sul 2020, anno della pandemia. Il vero confronto va fatto, quindi, con gli anni precedenti al Covid e quello che emerge è che tutto sommato la demografia aziendale italiana rimane vivace. Nel 2022, infatti, sono nate più imprese che in tutto il periodo tra il 2001 e il 2017. Solo nel 2018 e nel 2019 ne sono state fondate di più, principalmente grazie al successo delle nuove forme societarie introdotte dal 2012, la startup innovativa e la Srl semplificata (Srls).
I requisiti molto più snelli e la possibilità di fondare un’azienda con un solo euro di capitale sociale ha fatto decollare il numero di nuove aziende nell’ultimo decennio: le nascite erano state meno di 70mila nel 2012 e sono cresciute fino a quasi 95mila alla vigilia del Covid. Si tratta di una tendenza che continua anche oggi, come i numeri del 2022 dimostrano. L’evoluzione, però, è anche qualitativa e non solo quantitativa.
Il peso delle Srls, infatti, è diminuito: nel 2022 la loro percentuale sul totale delle nuove imprese è scesa per la prima volta da otto anni sotto il 40%, al 39,6% mentre aveva toccato un picco del 46,9% nel 2018. Vuol dire che mediamente le nuove aziende create l’anno scorso sono più robuste, in quanto più capitalizzate.
Le nuove aziende traino per l’occupazione in Italia
Non è un caso che le società “tradizionali” (non Srls) siano state la grande maggioranza soprattutto nelle regioni con un’economia più avanzata, come in Lombardia, dove sono arrivate al 76%, mentre nel Mezzogiorno la quota delle Srls è stata più alta, fino a un picco del 55% in Calabria.
A livello settoriale se il confronto è con il 2019 si è assistito a un deciso aumento delle nuove imprese delle costruzioni, che sono cresciute del 22,9%, sull’onda dell’espansione del comparto del mattone. Negli altri ambiti (i servizi, l’industria, le utility) c’è stato un calo rispetto all’ultimo anno prima del Covid, che però, ricordiamolo, aveva rappresentato un picco per quanto riguarda il numero di società costituite.
Molto importante è il contributo che la nascita di nuove aziende dà in termini occupazionali. Cerved ha calcolato che tra il 2006 e il 2021 l’indicatore della creazione netta di posti di lavoro è sempre stato positivo nel caso delle imprese più giovani di 5 anni, tra cui vi sono anche molte startup innovative. Vuol dire che la differenza tra posti creati e persi (per licenziamento, dimissioni, fallimento dell’azienda, ecc) è sempre stata maggiore di zero, e di molto, persino nel 2020.
Non è sempre accaduto lo stesso nel caso delle società più “anziane”, con più di 5 anni di vita, soprattutto nei momenti di crisi. Nel 2021, per esempio, su 535mila nuovi addetti nelle imprese private, ben 343mila sono stati garantiti dalle aziende più giovani. Un segnale di dinamicità dell’ecosistema italiano.