In tutte le crisi del Dopoguerra, che fossero quelle legate al ciclo economico, all’improvviso innalzamento dei prezzi petroliferi, o allo scoppio di bolle finanziarie, vi era sempre stata la possibilità di fare stime e previsioni. I fattori in gioco erano economici o al massimo politici, e in genere vi erano precedenti su cui tarare le proprie stime.
Con la crisi scatenata dalla pandemia ci siamo trovati di fronte a un elemento del tutto imponderabile, un virus, che, non dando la possibilità di comprendere la profondità e la durata della propria azione, ha reso letteralmente imprevedibili le conseguenze che può provocare sull'economia.
È stato inoltre molto difficile capire quale avrebbe potuto essere l’impatto della chiusura totale di intere filiere produttive, anche per l’assenza di termini di confronto storici (l’influenza spagnola del 1918/1919 aveva avuto effetti molto più catastrofici in termini di perdite di vite umane – circa 50 milioni di morti – ma non era stata accompagnata da misure di lockdown).
La conseguenza è stata un susseguirsi di previsioni economiche destinate a essere smentite nel giro di poco tempo.
Le previsioni internazionali
Prima dell’arrivo del Covid19 la crescita prevista per il nostro Paese era decisamente ridotta ma in ogni caso positiva. La Commissione Europea nell’autunno del 2019 prevedeva un aumento del PIL dello 0,4% per il 2020; il governo nel NaDef del settembre dello stesso anno era stato appena più ottimista, credendo a un possibile +0,6%. Poi, dal marzo del 2020 il dubbio non ha riguardato l’entità della crescita ma la gravità e la durata della recessione.
Nelle stime di primavera dello scorso anno Bruxelles aveva previsto un crollo del 9,5% del PIL per l’Italia, del 6,5% per la Germania, del 7,4% per l’intera Unione Europea. Stime stravolte in negativo già tre mesi dopo, quando nel Summer Forecast la recessione italiana apparve ancora più catastrofica, con un calo del PIL dell'11,2% (il peggiore dato europeo) rispetto ad un -6,3% della Germania. La UE nel complesso avrebbe perso l’8,3%.
Le riaperture del 2020 e la ripresa del settore manifatturiero e dei consumi durante i mesi estivi hanno migliorato la prospettiva della Commissione, che calcolò, nelle sue previsioni autunnali, una discesa del PIL per l’Italia del 9,9% diventato poco dopo un -8,8%. Parallelamente sono migliorate le stime anche per quanto riguarda la Germania e il resto della UE. Ma ormai si trattava più di dati di consuntivo che di previsioni.
Anche gli organismi internazionali, le banche d’investimento e le agenzie di rating hanno detto la loro sulla crescita italiana.
Nell’aprile del 2020 il Fondo Monetario Internazionale vedeva una riduzione del nostro PIL del 9,1%; previsione peggiorata a luglio (12,8%) e in ottobre (-10,6%).
A ottobre per Natixis il Prodotto Interno Lordo sarebbe crollato del 10,7%; per BNL e Allianz del 10,1%; per Moody’s e Fitch rispettivamente del 9,8% e del 10%.
Le stime italiane più vicine alla realtà
Ebbene, gran parte di queste previsioni si sono rivelate gravemente erronee. Alla fine il calo del PIL dello scorso anno è stato dell’8,9%.
E su questa percentuale si sono via via allineati anche coloro che erano stati più pessimisti.
Con il senno di poi possiamo dire che c’era chi aveva avuto ragione. Sono stati alcuni previsori italiani.
Come per esempio il CER, Centro Europa Ricerche, che già a metà luglio stimava un -8,7%. Le contemporanee previsioni della Commissione Europea segnavano un -11,2%, l’OCSE -11,3%, quelle del Fondo Monetario Internazionale -12,8%, mentre il Consensus era a -10,2%.
Lo stesso CER in ottobre stimava che la diminuzione del PIL sarebbe stata dell’8,8%, di fatto molto prossima a quella che poi si sarebbe verificata.
Anche l’Istat nell’estate del 2020 vide una riduzione dell’8,3%.
Il Governo italiano stesso poi nel Def della primavera del 2020 riteneva che il PIL si sarebbe contratto dell’8%, divenuto -9% nella Nota di Aggiornamento al Def stesso di fine settembre.
Avendo di fatto ragione.
Il peso di previsioni troppo pessimiste appare chiaro se si considera che è su tali stime che si costruiscono anche quelle relative ad altri indicatori fondamentali per la solidità economica e finanziaria di un Paese, come il rapporto deficit/PIL e quello tra debito e PIL stesso.
Quegli stessi indicatori che poi sono alla base dell’azione economica e alle decisioni di spesa che i governi devono prendere.
Il prezzo dell’incertezza e di previsioni imprecise è anche questo, il minore margine di manovra che un Paese nel pieno di una crisi senza precedenti può permettersi.
Questo ovviamente accresce le responsabilità dei previsori.
In questa occasione non tutti sono stati all’altezza di questa responsabilità.