La variazione delle esportazioni italiane in valore nel 2023 è stata pari a zero. Si è trattato del risultato di una diminuzione dei volumi del 5,1%, compensata, però, da un incremento dei prezzi unitari del 5,3%. Insomma, abbiamo venduto meno ma a prezzi maggiori. Il saldo tra import ed export, però, è tornato in positivo, passando da un passivo di 35 miliardi e 67 milioni di euro nel 2022 a un attivo di 34 miliardi e 601 milioni nel 2023.
Ciò è stato dovuto al netto calo in valore delle importazioni, i cui prezzi sono scesi di ben il 9% rispetto al 2022, l’anno dell’impennata delle tariffe energetiche. Il resto lo ha fatto la stagnazione dei consumi, colpiti dall’inflazione: non a caso, anche a livello di volumi c’è stata una contrazione dell’1,5%. Nel complesso il valore di quello che abbiamo comprato dall’estero è sceso del 10,4%.
Quali sono stati i mercati più importanti per il commercio estero italiano nello scorso anno? Considerando per prima cosa le esportazioni, c’è stato un evidente aumento di quelle verso i Paesi extra-europei, che nel 2023 sono cresciute del 2,5%, e una riduzione di quelle verso gli altri Paesi della Ue, scese del 2,3%. L’incremento maggiore è stato quello che ha interessato le vendite verso la Cina, +16,8%. In questo caso, però, il dato è in parte “drogato” dal boom di vendite, nella prima parte dell’anno, di un farmaco generico ritenuto un rimedio contro il Covid. Molto buoni sono poi stati gli incrementi delle esportazioni verso Paesi emergenti come l’India, +7,6%, quelli del Sud Est asiatico appartenenti all’Asean, +5,3%, quelli del Mercosur, +4,7%, nonché verso l’Oceania, +11,9%.
In discesa di 2,8 miliardi l’export verso la Germania
A contare di più, però, è stato l’incremento delle esportazioni verso quei Paesi che già rappresentavano una quota importante delle nostre vendite all’estero, come gli Usa, la cui fetta è del 10,4%. La crescita del 3,4% in questo caso si traduce in un incremento in termini assoluti di due miliardi e 184 milioni, molto superiore a quello dell’export verso l’India, +364 milioni, che pure risulta superiore in termini percentuali.
C’è un altro aumento, però, che è ancora più rilevante, sia in valore assoluto che relativo, ed è quello verso i Paesi Opec che recentemente hanno goduto di una domanda crescente, a causa dell’incremento delle quotazioni energetiche. Le vendite in questo caso sono cresciute del 12,3%, ovvero di ben due miliardi e 381 milioni. C’è stato anche un netto miglioramento del saldo commerciale verso questi Paesi, che però è stato dovuto soprattutto al crollo in valore delle importazioni, in conseguenza della riduzione dei prezzi di gas e petrolio: abbiamo comprato meno beni e servizi per ben 10 miliardi e 605 milioni; solo il crollo dell’import dalla Russia (del resto parte dell’Opec), pari a -23 miliardi e 97 milioni, è stato maggiore.
I buoni dati sul commercio extra-europeo sono compensati da una riduzione di quello con il resto della Ue. Certo, il calo di tre miliardi e 590 milioni delle vendite verso il Belgio è dovuto a un fatto contingente, la fine del picco di export di confezioni di farmaci anti-Covid verso il quartier generale di Pfizer, collocato proprio vicino ad Anversa; tuttavia la diminuzione di due miliardi e 814 milioni delle esportazioni verso la Germania è una questione diversa, essendo la conseguenza della crisi economica che Berlino sta attraversando. In Germania, primo partner commerciale dell’Italia, con una quota del 12,4% del nostro export, infatti, l’inflazione ha indebolito il potere d’acquisto dei consumatori e messo in difficoltà le imprese, specialmente quelle del settore manifatturiero, particolarmente importante per l’economia tedesca; la debolezza della domanda globale di beni manifatturieri, la peggiorata competitività in termini di prezzo dei prodotti tedeschi per il rincaro dei costi dell’energia, così come la politica monetaria restrittiva della Bce, contribuiscono ulteriormente a spiegare le attuali difficoltà della Germania. Non sono bastati a compensare il calo dell’export italiano verso la "locomotiva d’Europa”, oggi apparentemente in panne, gli aumenti delle vendite, pur importanti, in Francia, Spagna, Polonia. Nel complesso i paesi dell’Ue, con il 52,8% del totale, rimangono la destinazione principale delle nostre esportazioni.