COSTO DEL LAVORO

SEGATURA DI METALLO
28-09-2023

I costi che le imprese italiane devono sostenere per remunerare il lavoro dei propri dipendenti, in termini di salari e imposte, stanno aumentando meno di quelli a carico delle aziende degli altri Paesi europei : secondo Eurostat, tra il secondo trimestre del 2022 e quello corrispondente del 2023 in Italia il costo del lavoro  è aumentato solo del 2,6%, contro il 5% della media europea. In particolare gli stipendi sono cresciuti del 2,4%, mentre il resto, le tasse e i contributi, del 3,2%. È nella prima componente, quella salariale, che il divario rispetto al dato Ue è maggiore, visto che a livello comunitario l’incremento è stato del 5,1%.

Questi dati comprendono tutta l’economia, quindi sia quella privata sia quella prevalentemente pubblica, che include istruzione, difesa, sanità, PA. Considerando solo quella privata l’aumento del costo del lavoro italiano è stato del 3,4%, comunque sempre uno dei più bassi a livello europeo, dopo quelli di Germania, Portogallo e Danimarca, dove l’incremento è stato un poco inferiore. Se però si allarga lo sguardo a tutto il periodo dal 2020 a oggi, ovvero quello della pandemia e della fase post-pandemica, l’Italia risulta essere il Paese in cui si è verificato il minor incremento in assoluto: solo il 2,8%, anche considerando unicamente quella che è chiamata “business economy”, cioè l’economia privata.

Tale risultato è in parte dovuto alle contrazioni che il costo del lavoro in Italia, complice la crisi e gli interventi governativi, ha subito nel corso del 2020 e del 2021, contrazioni che del resto si sono verificate anche in altri paesi dell’Eurozona. Resta comunque significativo lo stacco del dato italiano rispetto ad altre economie europee: nello stesso lasso di tempo il costo del lavoro è cresciuto dell’11,4%, con picchi superiori al 40%, in Lituania e Bulgaria e al 30% in Polonia, Ungheria e Romania. In Spagna, Francia e Germania, invece, gli incrementi sono stati più contenuti, rispettivamente del 7,8%, 8,3% e 10,7%, ma comunque superiori a quelli italiani.

Oggi frena soprattutto il costo del lavoro nell’edilizia

A una maggiore competitività delle imprese, data la bassa crescita delle retribuzioni, corrisponde però anche un minore potere d’acquisto dei lavoratori : i numeri precedenti sono infatti calcolati su valori nominali e sono da confrontare con un aumento dei prezzi al consumo che, dal 2020 a oggi, è stato in doppia cifra. In pratica, il reddito disponibile di chi ha un salario è diminuito negli ultimi anni, anche se non nella stessa misura in tutti i settori. Se è nei servizi di mercato che la crescita del costo del lavoro e degli stipendi è stata più ridotta, pari al 2,2%, nel settore alloggio e ristorazione il dato complessivo è addirittura di segno negativo. Nell’industria, invece, il costo è cresciuto del 3,5% negli ultimi 3 anni (+3,7% i soli salari), mentre nell’edilizia, uno dei comparti che ha visto le performance migliori dopo il Covid, è salito del 5,1%, soprattutto a causa di un aumento degli stipendi del 5,6%.

Tuttavia è proprio nelle costruzioni che i dati del secondo trimestre 2023, vedono il maggiore rallentamento: l’aumento annuale è stato dell’1,8%, quindi molto inferiore al +3,4%  dell’economia di mercato nella sua totalità. Del resto, il mattone, dopo il periodo di crescita causato anche dagli incentivi statali (come il Superbonus), sta vivendo di nuovo una fase calante. Più forti e in accelerazione sono gli incrementi tendenziali del costo del lavoro nei servizi e soprattutto nell’industria, +4,1% a livello annuale.

Sebbene in costante rallentamento da dicembre 2022, l’inflazione rimane su livelli elevati, precisamente al 5,5% su base tendenziale ad agosto 2023, secondo i dati IPCA calcolati da Istat. Ciò rende difficile prevedere se il recupero di competitività dell’economia italiana, dovuto alla bassa crescita del costo del lavoro, avrà effetti positivi o meno per il paese. Visti infatti i dati negativi del secondo trimestre 2023, il perdurare dell’inflazione rischia di portare ad una contrazione dei consumi delle famiglie, uno dei pochi indicatori rimasti in terreno positivo (dello 0,3%) nel periodo aprile-giugno.