Il trasporto aereo, il comparto delle agenzie di viaggio e quello delle fiere sono i settori che più hanno sofferto l’impatto della pandemia di Covid nel 2020 e nel 2021 e che più di altri speravano in un robusto rimbalzo con il ritorno alla normalità. Il loro giro d’affari, secondo le stime di pochi mesi fa, sarebbe dovuto crescere rispettivamente del 57,4%, dell’83,3%, del 90,8% tra il 2021 e il 2023. Non sarà così.
La guerra in Ucraina ha cambiato tutte le previsioni e, secondo i dati di Cerved, il delta tra le previsioni precedenti all’attacco russo e quelle successive è a doppia cifra. Nel caso dei trasporti aerei raggiunge addirittura il 33,8%, visto che l’aumento dei ricavi sarà del 23,6% e non del 57,4%; nel settore delle agenzie di viaggio sarà pari al 28%.
Le ragioni sono note: i prezzi dell’energia, già alti, si sono impennati dopo l'inizio della guerra, il 24 febbraio; l’instabilità internazionale dissuade molti turisti dal progettare vacanze lontane, e, in misura minore, ha un peso anche l’assenza dei russi dalle mete che tradizionalmente ne accoglievano a migliaia.
Non è solo il segmento turistico, però, a subire un impatto. Anche settori molto diversi, come le calzature e l’abbigliamento, devono ridimensionare le aspettative di ripresa. Il loro giro d’affari si espanderà del 3,8% e del 7,1% contro stime precedenti che prospettavano incrementi del 10,4% e del 14,6%.
Vi sono degli ambiti in cui, invece, non sarà presente neanche il segno più. Come il largo consumo, che comprende tutti quei beni che si acquistano quotidianamente come l’alimentazione e l’igiene personale. In questo caso le aziende che li producono, nei prossimi due anni, vedranno una riduzione delle entrate dell’1,9% mentre la contrazione per i servizi immobiliari sarà pari allo 0,9%.
Questi sono i numeri che Cerved prospetta se si verificherà lo scenario peggiore, quello che presuppone una durata del conflitto fin dopo l’estate e che causerà la persistenza di un'alta inflazione e il cambiamento della politica monetaria della Bce in senso più restrittivo proprio per combattere l'inflazione. In questa prospettiva il Pil aumenterà del 2,3% nel 2022 e dell’1,5% nel 2023, poco meno dei ricavi delle imprese, che saliranno mediamente del 2,6% e dell’1,6%.
Uno shock asimmetrico, che colpisce in modo molto differenziato
Quello che tutti gli analisti sottolineano è che siamo davanti a uno shock che è completamente asimmetrico, forse anche più di quello generato dalla pandemia, sicuramente più di quello provocato dalle recessioni precedenti che abbiamo vissuto.
Colpisce, cioè, quei settori più esposti al rialzo dei prezzi dell’energia, delle materie prime e dei prodotti a essi collegati. Altri vengono impattati in modo indiretto, in quanto risentono della diminuzione della domanda dei consumatori impoveriti, mentre qualcuno riesce a realizzare extra-profitti, proprio grazie a questi rialzi.
Il risultato è che, a livello aggregato, nel 2023 il fatturato delle aziende italiane crescerà rispetto al 2019 (ultimo anno precedente alla pandemia) solo dello 0,2%, ma intorno a questa media i numeri variano molto in base al comparto.
Ve ne sono anche alcuni con performance molto positive, come le costruzioni, il cui fatturato salirà del 19,3%, grazie all’incremento del 6,4% tra il 2019 e il 2021, mentre il resto dell’economia sprofondava, e a quello del 12,1% tra il 2021 e il 2023.
In doppia cifra anche i progressi del settore della lavorazione dei metalli, il cui giro d’affari sarà alla fine dell’anno prossimo del 14,3%, più grande rispetto al periodo precedente al Covid, e quelli nell’ambito dei mezzi di trasporto, +10,3%. In questi ultimi due casi pressoché tutta la crescita si realizzerà nella fase post pandemica. Lo stesso accadrà all’elettrotecnica e all’informatica, che vedranno un aumento del fatturato dell’8,4%.
Viceversa, l’espansione del segmento dei carburanti e dell’energia sarà così limitato quest’anno e il prossimo da non poter compensare il crollo degli ultimi due, e nel 2023 i ricavi saranno ancora del 10,2% inferiori a quelli del 2019.
Tali asimmetrie, che spesso vedono tra i perdenti gli stessi che avevano più sofferto la pandemia, stanno rendendo necessario un intervento pubblico riequilibratore. Sarà inevitabile, di conseguenza, un impatto sui conti pubblici ma, come accaduto con l’emergenza Covid, è essenziale impedire che questo nuovo shock abbia ricadute sociali su un tessuto di aziende e lavoratori ancora molto fragile.