Quasi 10mila immatricolazioni in meno in un anno, questo è l’effetto ritardato del Covid sulle iscrizioni all’università. I dati del MUR (Ministero dell’Università e della Ricerca) mostrano come nell’ultimo anno accademico, il 2021/22, coloro che hanno scelto di frequentare le aule degli atenei italiani siano stati 320.871, contro i 330.271 del 2020/21. A determinare il calo anche fattori economici, e lo mostra il fatto che più di metà della riduzione di iscritti è avvenuta nel Mezzogiorno, dove le immatricolazioni sono scese del 5,1%, contro il 2,8% medio. Al contrario, nel Nord Ovest e soprattutto nel Nord Est la diminuzione è stata più lieve, rispettivamente del 2,3% e dello 0,1%.
A ulteriore conferma dell’impatto dell’incertezza economica anche il calo delle immatricolazioni presso le università non statali, -7,1%, molto più pronunciato rispetto a quelle statali, -2,3%. In pratica, rispetto al 2020/21, un numero superiore di famiglie italiane ha avuto timore di non riuscire a pagare le rette degli atenei privati.
Ma questi numeri vanno guardati da una prospettiva più ampia, solo così si può comprendere come in realtà i dati dell’anno accademico 2021/22 restino comunque migliori di quelli immediatamente precedenti al Covid, ovvero del 2019/20 e di quelli degli anni precedenti. Le immatricolazioni, infatti, dopo un calo terminato nel 2013/14, hanno vissuto un periodo di grande incremento, che ha prodotto un aumento di più di 62mila iscrizioni fino al 2020/21. In questo anno accademico, infatti, è stata registrata la crescita annua maggiore, del 6,1%, equivalenti a 19mila immatricolazioni in più, tanto che alcuni commentatori avevano pensato potesse essere motivato proprio dalla pandemia e dalle minori occasioni di lavoro che questa ha causato. Diversi ragazzi, questa era l’interpretazione, si sono iscritti all’università perché non riescono a trovare un lavoro.
Se questo fosse anche solo parzialmente vero, i numeri del 2021/22 sarebbero solo un ritorno al trend precedente, ma per capirlo meglio dovremo attendere i dati degli anni prossimi.
Continua la crescita degli immatricolati stranieri: sono stati 18.448
Le donne sono da molto tempo la maggioranza degli iscritti, il 55,7% nell’ultimo anno accademico, e la loro proporzione oscilla intorno a questa percentuale dalla fine degli anni ’90, nonostante nella fascia di popolazione precedente ai 20 anni, nel complesso, siano gli uomini a prevalere dal punto di vista numerico. Chi ottiene una laurea, in Italia come altrove, solitamente ha meno probabilità di essere inattivo o disoccupato e mediamente ha stipendi migliori. Questa maggioranza femminile nelle immatricolazioni, si spera, può quindi riequilibrare i dati relativi al tasso di occupazione, oggi ancora molto basso tra le donne, e ai gap salariali.
Un altro aspetto interessante è quello che riguarda la presenza di studenti stranieri: il sistema universitario italiano non è mai riuscito ad attrarre iscritti dall’estero nella stessa quantità di quelli di altri Paesi europei, alcuni dei quali favoriti anche dalla lingua; ma i numeri degli immatricolati di cittadinanza non italiana sono in aumento. In controtendenza rispetto alla media, nel 2021/22 sono cresciuti di 673 unità, arrivando a 18.448, ovvero il 5,7% del totale.
L’esame delle nazionalità dei nuovi universitari stranieri mostra come si tratti molto probabilmente soprattutto di giovani già presenti in Italia, arrivati da bambini o nati nel nostro Paese. In testa, infatti, vi sono i rumeni, con 2.227 iscritti, seguiti dagli albanesi, 1118, dai cinesi, 1.019, dai marocchini, 950. Tuttavia, la proporzione di immigrati che decide di intraprendere studi universitari resta però inferiore a quella, già bassa, degli italiani.