Il commercio internazionale ci ha già salvati una volta. È stato nel periodo 2011 - 2013, quando la crisi dell’euro rischiava di aggravare una situazione di difficoltà economica ereditata dalla crisi del 2008 - 2009. In quella occasione il Pil è calato meno del previsto, perché il “saldo import-export” (che viene, appunto, calcolato per stabilire l'andamento del prodotto interno lordo) ha controbilanciato il crollo delle altre componenti del Pil come consumi, investimenti e spesa pubblica. Dal 2012, infatti, le esportazioni hanno ricominciato a superare le importazioni, con un saldo positivo che ha ripreso a crescere, rovesciando il trend negativo che caratterizzava il nostro commercio dal 1996.
E se è vero che questo è stato provocato anche da una riduzione delle importazioni dovuta al calo dei consumi, allo stesso tempo si è anche fermata la caduta della nostra quota di mercato globale, che era scesa dal 4,1% al 2,79% in 10 anni tra il 2002 e il 2012. Nel periodo successivo la fetta italiana del mercato mondiale è rimasta sugli stessi livelli, anzi, è riuscita a risalire di qualche decimale, dimostrando che alla base del saldo positivo vi era anche una effettiva competitività e appetibilità dei nostri prodotti nel mondo.
E anche nell’attuale fase di ripresa dopo la crisi pandemica il commercio estero sembra avere un ruolo guida. I dati sono chiari: nel periodo tra gennaio e aprile di quest’anno cresce la differenza positiva tra export e import in Italia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, passando da 11,1 a 17,4 miliardi, con un miglioramento del 57%, superiore a quello messo a segno dalla Germania, che pure migliora il proprio saldo commerciale di 14,5 miliardi (+26%, da 55,8 a 70,3 miliardi), o dai Paesi Bassi, esportatori per eccellenza in Europa.
Cresce in misura significativa l’export intra-Ue, che nei primi 4 mesi dell'anno aumenta del 22% a fronte di un incremento del 20% delle importazioni. Bene anche gli scambi con i Paesi extra-europei che vedono, in media, un +17% per le esportazioni e un +12% per l’import.
Questo avviene nonostante fossero state le importazioni a crollare maggiormente (del 13%, nell’annus horribilis 2020), mentre le esportazioni erano calate del 10%, a causa di una contrazione dei consumi che in Italia è stata maggiore di quella dei nostri principali partner, come Germania o Stati Uniti. Tuttavia, a rimbalzare di più non è stato l’import, appunto, ma le vendite all’estero. In particolare, secondo i dati Istat, quelle verso la Germania, cresciute nel primo quadrimestre del 22,6%. Infatti sono gli acquisti di prodotti in metallo da parte tedesca il principale contributo all’aumento delle esportazioni.
Diventa più piccolo il disavanzo con la Cina
Ma è ancora più rilevante l’incremento dell’export verso la Cina: più 55,3% tra gennaio e aprile 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, contro un aumento del 21,4% dell’import. A trascinare le vendite sono stati abbigliamento e mezzi di trasporto. Viene così a ridursi il saldo negativo che da sempre caratterizza il commercio italo-cinese dal lato italiano, che scende a 8,2 miliardi. I primi dati riguardanti maggio indicano un ulteriore generale aumento dell’avanzo commerciale per l’Italia se si considerano i prodotti non energetici, di circa 2,4 miliardi solo in questo mese.
Per il prossimo futuro, per la prima volta da moltissimo tempo, si prevede che il Pil del nostro Paese crescerà più della media europea, con una spinta che verrà dalla domanda interna.
Questo, tuttavia, potrebbe portare a un’inversione di tendenza nell’ambito del commercio, con un’attenuazione del nostro avanzo. Si tratta di una prospettiva che verrà accentuata dal Next Generation Eu che, nelle stime del governo, dovrebbe generare ingenti acquisti di strumentazione tecnologica dall’estero incrementando le importazioni molto più delle esportazioni.
Tali acquisti però saranno destinati a investimenti che dovrebbero portare a un aumento della produttività delle nostre imprese, che in tal modo dovrebbero guadagnare quella competitività utile a rinnovare e approfondire avanzi commerciali come quelli visti finora.