A FINE 2023 IN RISALITA I RISPARMI, MENTRE I PROFITTI RIMANGONO MAGGIORI DELLA MEDIA PRE-COVID

Portafoglio con banconota da 50 euro
23-05-2024

È in chiaroscuro la fotografia dello stato di salute economica delle famiglie italiane: per quanto l’inflazione non possa ancora dirsi interamente domata, siamo ormai lontani dai picchi raggiunti nel 2022; ora la preoccupazione di molti è quella di un insufficiente adeguamento dei salari al carovita, e i dati sui consumi interni lo confermano.

Partiamo dai dati positivi: secondo l’Istat, nell’ultimo trimestre del 2023 c’è stata una ripresa del tasso di risparmio, segno (anche) di un recupero di fiducia nel futuro. Il tasso di risparmio è risalito al 7%, dopo essere sceso sotto il 6% nel corso degli ultimi due anni, quando l’inflazione post-pandemica raggiunse i suoi livelli massimi. È infatti in virtù di un’accresciuta propensione al consumo (e conseguente diminuzione della propensione al risparmio) che i consumi si sono mantenuti in territorio positivo, seppur di poco, per la maggior parte dei mesi tra il 2021 e oggi.

Possiamo dire che dopo molti esborsi obbligati a causa del grande aumento di alcune voci di costo (come le bollette energetiche) una parte degli italiani abbia deciso di rimettere un po’ di fieno in cascina, nonostante il potere d’acquisto non sia risalito di molto. Secondo l’Istat, infatti, nell’ultimo trimestre del 2023 il reddito disponibile lordo calcolato in termini reali è stato maggiore del 2,1% rispetto a quello di un anno prima, ma inferiore di mezzo punto rispetto a quello dell’estate. L’aumento del tasso di risparmio non riflette insomma una significativa ripresa della ricchezza reale degli italiani, bensì è il risultato di un indebolimento dei consumi nazionali, che infatti sono aumentati di poco (1,5%) su base annua e diminuiti su base trimestrale.

Bene gli investimenti delle famiglie

Tra le cause della modesta dinamica dei consumi, però, c’è anche il buon andamento degli investimenti. Nel caso delle famiglie, si tratta principalmente di acquisti di immobili, cresciuti del 5,4% in un anno: ad essi, nell’ultimo trimestre del 2023, è stato destinato il 9,3% del reddito disponibile lordo, un dato particolarmente alto nella media storica degli ultimi anni, e certamente maggiore di quello pre-pandemico di lungo periodo (5,5-5,6%).

Naturalmente questi investimenti rimangono di minor entità rispetto a quelli delle aziende, il cui tasso di investimento a fine 2023 è stato pari al 20,2% del valore aggiunto. Se parliamo di imprese, però, il dato più rilevante è quello che riguarda la quota di profitto, che è rimasta più alta di quella degli anni 2010: alla fine del 2023 era del 44,4%, percentuale che è stata superata solo tra la fine 2022 e i trimestri successivi, e mai raggiunta nei precedenti 10 anni. Tale sviluppo è stato reso possibile dall’aumento generalizzato dei prezzi tra 2022 e 2023, che ha permesso (perlomeno alle aziende price-maker) di accrescere i propri profitti. È un processo che, seppur in tono minore, ha caratterizzato anche gli ultimi tre mesi dello scorso anno, che ha visto il risultato lordo di gestione delle imprese aumentare dell’1% rispetto al terzo trimestre. 

Nel 2024 ci si attende un adeguamento dei salari, anche se non della stessa entità per tutte le categorie di lavoratori. È ancora poco chiaro se da questo potrà scaturire un vero recupero del potere d’acquisto delle famiglie: l’esito dipenderà da molti fattori, tra cui anche la propensione al risparmio delle famiglie, che potrebbe rimanere costante così come variare rispetto al valore attuale.