Secondo i dati Istat, nel secondo trimestre del 2024 il tasso di posti vacanti sul totale dell’economia italiana è stato del 2%, in leggerissimo calo rispetto al primo trimestre, quando era del 2,1%. Sono numeri superiori a quelli storici: negli anni precedenti al Covid questo indicatore non aveva mai superato l’1,4% (toccato tra la fine del 2018 e il 2019), mentre prima del 2017 era addirittura stabilmente inferiore all’1%. Dall’estate del 2021 in poi, invece, il tasso di posti vacanti non è mai sceso al di sotto del 2%.
Bisogna considerare che tre anni fa l’economia ripartiva dopo la pausa forzata della pandemia, e alcuni comparti, soprattutto quelli che avevano subìto di più le chiusure, come la ristorazione e il turismo, avevano la necessità di assumere lavoratori rapidamente. In una certa misura era dunque fisiologico che si incontrassero delle difficoltà: il Pil cresceva dell’8,3%, l’economia era surriscaldata e molte persone erano ancora temporaneamente fuori dal mercato del lavoro.
Oggi però non è più così: le stime dell’Istat sul secondo trimestre 2024 parlano di una crescita del Pil dello 0,9% annuo (e dello 0,2% a livello congiunturale, cioè sul trimestre precedente) ed è ormai da cinque trimestri che ci si muove su tali cifre. Certo, l’occupazione continua a crescere, ma ad un ritmo inferiore rispetto all’anno scorso: tra marzo e giugno 2024 i lavoratori sono aumentati di 66mila unità; nel 2023 nello stesso periodo l’incremento era stato di 189mila unità. L’economia italiana ha quindi ormai da tempo superato la fase di rimbalzo post-pandemico, caratterizzata da tassi di crescita particolarmente elevati per la media storica del Paese, e si trova oggi ad affrontare, come tutti i paesi dell’Area Euro, uno scenario geoeconomico altamente complesso. Non si può insomma parlare di un’economia in stato di surriscaldamento. E allora perché permane la difficoltà nel trovare lavoratori da parte delle imprese?
La carenza di forza lavoro è in crescita anche nell’istruzione e nelle attività professionali e scientifiche
Diverse sono le risposte possibili per questa domanda. È tuttavia ragionevole pensare che la pandemia abbia agito da catalizzatore di alcune dinamiche di più lungo periodo caratteristiche dell’economia italiana, tra le quali in particolare:
- la crisi demografica, che riduce il numero dei giovani che entra nel mercato del lavoro;
- il cosiddetto mismatch delle competenze, che consiste nella carenza di forza lavoro provvista delle conoscenze necessarie per svolgere mansioni che il mercato richiede.
In base a questa interpretazione, avremmo comunque assistito ad un aumento del tasso di posti vacanti anche se non ci fosse stata la pandemia; semplicemente, il passaggio sarebbe stato più graduale; con il rimbalzo dell’economia post-Covid, invece, la carenza di mano d’opera ha iniziato subito a farsi sentire, per via del già ricordato surriscaldamento, il quale, anche una volta terminato, ha comunque lasciato spazio alle conseguenze della crisi demografica e del mismatch delle competenze.
Il primo fattore ha un impatto marcato, per esempio, sul settore delle costruzioni, nel quale il tasso di posti vacanti è tra i più alti, il 3%, in crescita rispetto al 2,1% di cinque anni fa.
Il secondo risulta più rilevante nell’ambito dei comparti ad alta intensità di conoscenza (knowledge-intensive): nell’ambito dell’istruzione, per esempio, tra il primo trimestre del 2019 e il primo del 2024 il tasso dei posti vacanti è salito dall’1,5% al 2,6%; nelle attività professionali e scientifiche, nello stesso lasso di tempo, dall’1,5% al 2,7%.
È pur vero che vi sono anche settori, in Italia, nei quali la carenza di manodopera costituisce un problema da ben prima del Covid. È il caso del settore dell’alloggio e ristorazione, che infatti nei primi tre mesi di quest’anno ha visto salire la quota di posti vacanti al 3,2%, più dei comparti sopra menzionati; il dato non è molto diverso dal 3% del 2019, il che segnala come il problema abbia le proprie radici altrove. È lecito ritenere che, specialmente in settori come l’ultimo menzionato, anche la debole dinamica salariale abbia giocato un ruolo nel permanere del tasso di posti vacanti al di sopra della media storica.