Il divario Nord-Sud si approfondisce

Il divario Nord-Sud si approfondisce
17-06-2022

Il Mezzogiorno è economicamente sempre più lontano dal Centro-Nord, e la pandemia e la successiva ripresa hanno accentuato le disuguaglianze che, del resto, erano in aumento anche prima del Covid. 

I dati che emergono dall’ultima relazione annuale della Banca d’Italia sono chiari. Il Pil del Sud e delle Isole nel 2020 era il 28,57% di quello delle regioni più ricche, quelle centrali e settentrionali. Tale percentuale era del 30,35% nel 2010, del 31,78% nel 2000, del 32,7% nel 1990. 

Il declino relativo del Mezzogiorno è stato lento ma piuttosto costante. Non è un caso se nel 2019 l’economia del Sud e delle Isole generava un prodotto interno lordo ancora del 10,2% inferiore a quello del 2007, l’anno in cui ha raggiunto il suo massimo livello, prima della Grande Recessione. Nel Centro-Nord il gap rispetto a quell’anno era solo dell’1,8%. 

La pandemia ha colpito duramente ogni regione del Paese, ma il rimbalzo del 2021 non è stato omogeneo, e ha premiato soprattutto l’area più ricca. Di conseguenza, nel 2021, il Pil del Mezzogiorno è divenuto solo l’86,8% di quello del 2007, nel Centro-Nord il 95,3%. 

Il divario appare meno doloroso solo se consideriamo il Pil pro capite. Dividendo le cifre del prodotto interno lordo per il numero di abitanti osserviamo che questo è stato nel 2020 il 55,69% di quello del Centro-Nord, sempre in calo rispetto a 10 anni prima (56,24%) e al 2000 (57,53%), ma la riduzione in questo caso è stata più contenuta. 

La ragione, tuttavia, è che la popolazione del Mezzogiorno sta diminuendo, e a un ritmo decisamente superiore rispetto a ciò che accade nel Centro e nel Nord. In sostanza il reddito prodotto viene diviso per un numero di persone sempre più piccolo con la conseguenza di far sembrare la disuguaglianza meno profonda e il declino economico meno pronunciato, ma non è in ogni caso una buona notizia dal punto di vista sociale. 

Solo il 32,5% delle donne del Mezzogiorno lavora
Il dato socio-economico più rilevante è quello che riguarda l’occupazione. Nelle regioni centrali e settentrionali questa si era ripresa piuttosto bene dalla Grande Recessione seguita al fallimento di Lehman Brothers e nel 2019 era cresciuta del 5% rispetto ai livelli del 2007. In queste regioni del Paese, anche dopo il Covid e la successiva crescita sostenuta del Pil alla fine dell’anno scorso il numero dei lavoratori risultava superiore a quello di 12 anni prima del 3,3%. Nel Mezzogiorno, invece, quanti avevano un lavoro erano nel 2019 il 4,8% in meno del 2007 e nell’ultimo trimestre del 2021 il 6,5% in meno

In parte ciò è spiegato dal calo demografico di queste regioni, ma a contare moltissimo è anche il tasso di occupazione particolarmente basso: nel Mezzogiorno sono molto poche le persone in età da lavoro (15-64 anni) che hanno ufficialmente un impiego, solo il 44,3% nel 2020, contro il 65,4% nel Centro-Nord. Nelle regioni del Mezzogiorno nei decenni vi è stato addirittura un calo, considerando che a fine anni ’70 questa percentuale sfiorava il 50%, ed era solo del 6,5% inferiore a quella registrata nelle aree più ricche d’Italia. 

Ora il gap è di più di 21 punti, e diventa del 25,3% se consideriamo solo le donne. Solo il 32,5% di quelle meridionali ha un lavoro, una proporzione bassissima, tra le più basse d’Europa. Certo, vi è stato un piccolo incremento rispetto al 27% dei primi anni ’80, ma negli stessi 4 decenni al Centro Nord la quota di donne con un impiego è aumentato del 20%

Il Sud e le Isole pagano un livello inferiore degli investimenti, che già prima della pandemia ammontavano al 16,8% del Pil, in calo rispetto al 22,4% del 2007, contro il 18,2% del Centro-Nord. A influire su questo dato è anche il minore accesso al credito delle imprese meridionali: nel 2019 il totale dei prestiti era il 50,9% del valore aggiunto, mentre nelle regioni centro-settentrionali si arrivava al 70,8%.