Il pericolo di recessione sembra ormai archiviato, Governo e organismi internazionali migliorano le previsioni di crescita
Previsioni smentite: l’Italia non va in recessione ma anzi cresce dell’1% nel 2023. Il dato è contenuto nel Def (Documento di Economia e Finanza) del governo che si dimostra molto più ottimista di chi, in Italia e all’estero, aveva previsto un calo dell’attività economica quest’anno. L’1% di crescita è un evidente miglioramento anche rispetto al +0,6% pronosticato nella revisione della Nadef (Nota di Aggiornamento al Def) di novembre, ma non è la prima volta, negli ultimi anni, che le cifre riguardanti il prodotto interno lordo sono riviste al rialzo.
Era già accaduto per il 2022 quando il Pil è cresciuto del 3,7% a fronte della previsione, fatta nel Def di aprile, di un +3,1% e di stime ancora più basse dei vari organismi internazionali che, invece, oggi condividono la revisione effettuata dal Governo. La Commissione Europea a febbraio vedeva per quest’anno un aumento del Pil dello 0,8%, mentre a novembre non credeva che potesse superare lo 0,3%. Considerando che queste previsioni, al contrario di quelle del nostro esecutivo, non considerano gli effetti positivi delle manovre finanziarie, in realtà le differenze con le stime del Def sono minime.
Anche il Fondo Monetario Internazionale, del resto, ha cambiato idea: in ottobre aveva previsto per il nostro Paese addirittura una recessione dello 0,2%, ma ora il suo recentissimo Outlook ha aumentato di ben nove decimali la previsione di crescita, portandola a un +0,7% per il 2023. Va notato che lo stesso miglioramento non interessa altri Paesi: per la Francia l’incremento stimato in autunno era dello 0,7% e tale è rimasto oggi, mentre la Germania continua a essere vista in recessione, a causa di un calo del Pil dello 0,1%, solo di poco meno profondo di quello dello 0,3% previsto sei mesi fa.
Nel 2024 potremmo crescere dell’1,5%
A causare il maggiore incremento del nostro prodotto interno lordo vi sono diversi fattori. Tra i principali certamente ha un ruolo importante la riduzione dei prezzi delle materie prime energetiche, in primis il gas, le cui quotazioni, dopo i picchi estivi, sono tornate all’incirca ai livelli precedenti al conflitto in Ucraina. Collegato a questo è il lento rientro dell’inflazione, che rimane decisamente più alta di quella media degli ultimi decenni, ma che, dopo un massimo dell’11,8% in ottobre, a marzo è scesa del 7,7%, e si ritiene che scenderà ancora.
Parallelamente è in ripresa la fiducia di imprese e consumatori, che stimola la domanda interna, a sua volta la componente più significativa della crescita del Pil, visto che da sola conta per lo 0,9% sull’1% prevista. A essa si aggiunge il contributo del commercio estero: a differenza che nel 2022 le esportazioni quest’anno supereranno le importazioni, proprio grazie al rientro dei costi delle materie prime.
Le migliori prospettive sul prodotto interno lordo, però, non si rifletteranno in un calo del rapporto deficit/Pil, che sarà del 4,5%. A fronte di una riduzione del costo degli interessi sul debito, infatti, vi è un aumento della differenza tra uscite ed entrate, a causa dei progetti di utilizzo del maggiore gettito che ha in mente il Governo. Il debito, invece, è visto in discesa: diminuirà dal 144,6% del Pil previsto nel 2022 al 142,1% delle stime dell’ultimo Def. Come sempre nei documenti ufficiali è presente anche la stima per i prossimi anni, nonostante gli evidenti rischi di smentita cui si va incontro. Nel caso del 2024 vi è un peggioramento della crescita del Pil, il +1,9% della Nadef autunnale diventa il +1,5% attuale. Ci sarà poi anche in questo caso una revisione al rialzo nei prossimi mesi?