Gli stipendi del settore privato sono aumentati. Lo dicono i numeri ufficiali. Un po’ ovunque nell’Unione Europea nel 2022, secondo Eurostat, l’aumento a livello orario è stato di circa un euro rispetto al 2021: da 21,9 a 22,9 euro.
Si tratta di un incremento maggiore di quelli che si sono verificati in passato. Tra il 2012 e il 2016, per esempio, i salari medi orari erano saliti solo di 1,4 euro e quindi, mediamente, solo di 35 centesimi all’anno per ogni ora. La ragione di un aumento così importante risiede soprattutto nell’inflazione molto alta che ci colpisce da più di un anno e che comporta anche un rialzo delle remunerazioni. Che, comunque, non riescono a compensare del tutto l’aumento del costo della vita.
Passiamo all’Italia. Nel nostro Paese l’anno scorso gli stipendi lordi sono arrivati a 21,2 euro l’ora, dopo un aumento di 40 centesimi, quindi inferiore a quello che si è visto in gran parte degli altri Stati membri. Quindi: abbiamo salari un po’ più bassi della media Ue e per di più aumentano meno della media. Se ci confrontiamo con i Paesi Ue più ricchi, come ad esempio il Lussemburgo, il confronto è impietoso. In Lussemburgo e in Danimarca, infatti, i lavoratori privati sono pagati rispettivamente 44,4 e 41 euro all’ora. Al terzo posto c’è il Belgio che paga i propri lavoratori 33,4 euro. È vero: sono anche quegli stessi Paesi dove la tassazione dei dipendenti è maggiore ma lo stesso non si può dire dell’Irlanda dove, nonostante le imposte più ridotte, lo stipendio lordo orario arriva a 31,8 euro.
In Francia e Germania, invece, la remunerazione lorda è arrivata rispettivamente a 27,7 e 30,3 euro l’ora, e a differenza che in Italia si sono verificati aumenti importanti, pari o superiori a quelli medi europei. Meno di noi prendono i lavoratori spagnoli, 17,5 euro l’ora, e di tutti i Paesi mediterranei e dell’Est. I più poveri, con meno di 10 euro l’ora, sono i lettoni, gli ungheresi, i rumeni e i bulgari.
Il costo del lavoro italiano è ormai inferiore a quello UE
I salari lordi dei dipendenti compongono la parte maggioritaria di uno degli indicatori economici più importanti, il costo del lavoro, che oltre agli stipendi include anche le tasse e i contributi pagati dalle aziende.
Tradizionalmente quello italiano è sempre stato accusato di essere alto, proprio a causa delle imposte, e di scoraggiare quindi gli investimenti. In realtà, come ci mostra Eurostat, negli ultimi anni è scivolato al di sotto della media europea. Nel 2022 è stato di 29,4 euro l’ora, ovvero la somma dei 21,2 euro di salari lordi e degli 8,2 euro di tasse sulle imprese. Si tratta di una cifra di 1,1 euro inferiore a quella Ue e lontana da quella tedesca, 39,5, o francese, 40,8.
Fino al 2020, invece, avere un dipendente in Italia costava più che in gran parte dell’Unione Europea. Già da tempo, però, il tasso di crescita dei salari lordi dei lavoratori era inferiore a quello presente altrove. Basti pensare che tra il 2008 e il 2022 i salari in Italia sono aumentati di 3 euro, da 18,1 a 21,2 euro orari, mentre mediamente nella Ue sono passati da 16,1 a 22,9.
Non si tratta solo di questo, tuttavia. Ad essere salito meno è anche l’insieme delle tasse che gravano sulle aziende italiane, definito anche cuneo fiscale. Se nel 2008 era di 7 euro l’ora per lavoratore, del 27,2% più alto che nella Ue, dove era di 5,5 euro, nel 2022 era solo del 6,6% superiore, 8,2 contro 7,6 euro l’ora.
Sul banco degli imputati per i problemi di competitività dell’Italia, insomma, vi è sempre meno posto per il costo del lavoro.