L’inattesa fiammata dell’inflazione e l’altrettanto inaspettato fenomeno della carenza di lavoratori in molti settori, dalla ristorazione al turismo, sono fenomeni destinati a esacerbare il dibattito sul livello degli stipendi. In Italia sono fermi da decenni e, secondo l’Ocse, rispetto al 1990, sono diminuiti del 2,9% in relazione al potere d’acquisto. Nello stesso periodo, in Francia e Germania sono cresciuti rispettivamente del 31,1% e del 33,7%; negli Usa addirittura del 47,7%.
Per questo motivo, in Italia non si discute solo di incrementi degli stipendi ma anche di salario minimo : ovvero, lo strumento per garantire che i lavoratori più deboli, quelli senza competenze e con pochissimo potere contrattuale, non scivolino nell’indigenza. È presente in tutte le maggiori economie occidentali e, naturalmente, varia soprattutto in base allo stato dell’economia del Paese, al livello dei prezzi, ma anche alla cultura socioeconomica prevalente.
Il salario minimo più alto è, ovviamente, in Lussemburgo e Irlanda, dove arriva rispettivamente a 12,73 e 10,5 euro lordi all’ora ma, allo stesso tempo, quello francese di 10,48 euro orari, che supera quello applicato in Germania pari a 9,50 all’ora, nonostante il reddito pro-capite in Francia sia significativamente inferiore a quello tedesco. Come mai? Tra i motivi vi è sia la tradizionale maggiore attenzione ai diritti dei lavoratori in Francia, sia la presenza di un orario lavorativo più ridotto, ufficialmente di 35 ore. Quindi, per ottenere un totale mensile simile a quello pagato in Germania, dove si lavora per legge 39,1 ore settimanali, ovvero poco meno di 1.590 euro, si deve avere un salario minimo orario maggiore.
Più che in Francia e Germania, ma meno che in Irlanda, guadagnano i lavoratori più poveri di Belgio e Paesi Bassi, 1.625,72 e 1.701 euro lordi, rispettivamente 9,67 e 9,82 euro a livello orario.
Il salario minimo nei Paesi mediterranei : un modello per l’Italia?
Decisamente più bassi sono i salari minimi di quei Paesi in cui l'economia è più debole della media Ue. In Spagna, dove sono definiti solo mensilmente, si scende a 1.125,83 euro al mese, o meglio a 965 euro pagati in 14 mensilità, come si usa fare in moltissimi contesti anche in Italia.
Proprio il Paese iberico, tuttavia, è tra quelli in cui vi sono stati i maggiori aumenti nel corso degli anni. Basti pensare che 10 anni fa, nel pieno della crisi economica, il salario minimo misurato su 12 mesi era solo di 748,3 euro. In questo lasso di tempo, nonostante si partisse da una base molto minore, l’incremento è stato superiore a quello che si è visto in Francia e in diversi altri Paesi. Il maggiore balzo, tra 858,55 e 1.050 euro, è avvenuto all’inizio del 2019, per volontà politica del nuovo governo del socialista Sanchez.
Altrove, per esempio in Grecia e Portogallo, il salario minimo è decisamente più basso e non ha registrato aumenti simili a quelli spagnoli. Soprattutto, questo non è accaduto nel Paese ellenico, in cui il salario minimo attuale corrisponde a 758,33 euro mensili , pari a 3,94 all’ora ed è addirittura inferiore a quello precedente alla devastante recessione cominciata nel 2009 e, seppur di poco, è più basso di quello applicato ai lavoratori portoghesi (di 775,83 euro su 12 mesi, corrispondenti a 4,13 euro all’ora).
Questi numeri, però, fanno notare molti economisti, vanno confrontati con quelli degli stipendi mediani. In Francia quelli minimi ammontano al 61% di questi, in Germania al 51%, in Spagna al 55%, in Belgio solo al 44%.
Quale modello sarà adottato in Italia se si deciderà di passare dai minimi in base al CCNL a uno generale? Se la richiesta dei sindacati è di 9 euro lordi all’ora, che ci avvicinerebbe a un mensile simile a quello tedesco, più realisticamente ci si sposterà verso una via di mezzo tra queste cifre e quelle spagnole, nella speranza che l’assegno possa poi crescere come accaduto nel Paese iberico, perché avrà avuto fine quella stagnazione generale dei salari che è il vero problema.