È uno dei principali componenti del soft power italiano, uno strumento per far conoscere e apprezzare il nostro Paese all’estero. Si tratta del settore agroalimentare, ed è, in realtà, qualcosa in più del biglietto da visita dell’Italia nel mondo: parliamo, innanzitutto, di un insieme di aziende che, secondo i dati di Cerved del 2021, generano un valore di 463,8 miliardi di euro. Occupano 2 milioni e 114 mila addetti, che rappresentano circa il 13,5% dei lavoratori dipendenti privati italiani. Numero che sale a oltre il 20% in alcune regioni del Mezzogiorno: in particolare, è nelle province di Ragusa, Matera, Oristano che è massimo il peso del Food & Beverage nel mondo del lavoro, dove l’impiego nel settore raggiunge rispettivamente il 42%, il 34,2% e il 32,8% dei dipendenti.
Degna di nota è, però, anche l’importanza dell’agroalimentare nella regione più settentrionale d’Italia, il Trentino-Alto Adige, dove gli addetti di questo comparto rappresentano il 20,1% del totale, una percentuale quasi doppia di quella lombarda.
L’andamento del settore è cruciale in particolare per le piccole e microimprese, visto che ben il 91% di quelle del Food & Beverage ha meno di 6 addetti e il 96% ne ha meno di 10.
Proprio le aziende con meno dipendenti sono, in generale, quelle che hanno sofferto maggiormente la pandemia. Ma i numeri, oggi, a due anni dall'emergenza più dura, non sono negativi.
I dati di Cerved, infatti, dicono che esaminando il periodo tra il 2019 e il 2022, quindi sia durante la recessione, sia nella successiva ripresa, il fatturato delle imprese italiane dovrebbe crescere del 3,7%, mentre quello delle aziende del Food & Beverage del 6,3%.
In particolare, sono i segmenti dell’agricoltura e della prima trasformazione quelli che dovrebbero mettere a segno gli aumenti migliori, del 9% e del 14,2%.
A premiare l’agro-alimentare è una maggiore propensione all’export
Per quale motivo? Naturalmente il comparto è stato in gran parte risparmiato dalle restrizioni e dalle chiusure decise dal Governo nel 2020 e nel 2021 per l’emergenza pandemica. I supermercati sono rimasti aperti, e la filiera agroalimentare ha continuato a lavorare, dovendo fornire beni essenziali alla popolazione.
Non a caso, l’unico canale del Food & Beverage che ha subìto un colpo destinato a non rimarginarsi neanche nel 2022 è quello della ristorazione: in questo caso, rispetto al 2019, il calo del fatturato a fine anno sarà, secondo le stime di Cerved, del 3,5%. Tuttavia, questo è stato più che compensato dall’andamento della grande distribuzione, +4,7% sempre tra il 2019 e il 2022, e soprattutto da quello del discount, +19,8% e dell’e-commerce, +114,9%. In valore assoluto quest’ultimo non ha ancora un enorme peso, dato che vale “solo” 3,4 miliardi, ma ha contributo a una ripresa più vasta di quella del resto dell’economia.
Il vero motore, però, è l’export. Il settore agroalimentare raggiunge un Foreign Market Score del 34,9%; si tratta di un indice creato da Cerved che stima la propensione delle aziende ad operare sul mercato internazionale. La media nell’economia italiana è del 27%. In particolare, è il segmento delle bevande a raggiungere i livelli più alti, con il 56,4%.
Il futuro del Food & Beverage appare quindi solido, ma non mancano sfide come quella di aumentare una redditività che, anche per ragioni strutturali, è più bassa di quella media, così come anche il livello di digitalizzazione. Soprattutto, però, nei prossimi mesi si farà sentire il rincaro delle materie prime e dei prodotti agricoli che hanno cominciato a far decollare i prezzi. L’impatto sulla nostra filiera agroalimentare sarà anche superiore a quello percepibile su altri comparti dell’economia italiana. Né va dimenticato che il nostro settore agroalimentare vanta un export di oltre 2 miliardi di euro verso la Russia, che vedrà senz’altro un ridimensionamento.
Le performance positive degli ultimi anni e la solidità acquisita dal settore potranno consentire di parare il colpo di questa nuova emergenza.