IL TERZIARIO PRIVATO È SEMPRE PIÙ CENTRALE NELL’ECONOMIA ITALIANA, MA LA PRODUTTIVITÀ È CRESCIUTA POCO

Bicchiere di popcorn, in fondo uno schermo televisivo
17-06-2024

Da molti decenni ormai l’economia dei Paesi sviluppati tende ad essere incentrata sul settore dei servizi, in particolare quelli privati, più che sul settore primario e secondario. Questa dinamica ha subito negli ultimi anni un’accelerazione: lo confermano i dati di Confcommercio. 

Cominciamo dai numeri di lungo termine: se nel 1995 il terziario di mercato rappresentava il 44,3% del valore aggiunto complessivo generato dall’economia italiana, nel 2023 questa percentuale è arrivata al 47,4%. Stiamo parlando del settore dei servizi esclusi il comparto pubblico, le attività finanziarie e assicurative e il segmento della cura domestica (colf e badanti), quindi di un vastissimo insieme di attività, che va dal commercio al turismo alla ristorazione alla comunicazione e alla consulenza, fino al divertimento e alla cultura. 

La sua importanza è ancora maggiore in ambito occupazionale: l’anno scorso il settore dei servizi raccoglieva il 50,5% delle unità lavorative annue (Ula) italiane, ovvero il numero dei lavoratori calcolati in termini di occupati a tempo pieno (es: due part time rappresentano un’Ula). Nel 1995 questa quota era del 40,3%. Dopo il Covid si è registrata una forte accelerazione: dei 2 milioni e 560mila posti di lavoro in più registrati tra giugno 2019 e giugno 2023, ben un milione e 996 mila, cioè il 77,9%, sono stati creati nei servizi di mercato. Nel caso dei lavoratori indipendenti la percentuale sale addirittura al 98,5%.

Immobiliare, ICT, trasporti e logistica guidano la crescita del valore aggiunto 

Tra i tanti settori che rientrano nell’ambito dei servizi di mercato non tutti hanno visto un’espansione del loro peso nel corso degli anni, soprattutto in termini di quota di valore aggiunto. La quota di valore aggiunto del commercio, per esempio, è scesa dal 15% nel 1995 al 13,5% nel 2023. È diminuita anche la quota delle attività artistiche (dal 3,1% al 2,8%), mentre si è aumentato il peso dei servizi immobiliari, dell’ICT, dei trasporti e della logistica: in 18 anni (tra 1995 e 2023, appunto) la loro quota di valore aggiunto è salita dal 12,7% al 14,5%. Importante è stato anche l’incremento dei servizi alle imprese, che include quelli di vigilanza, di pulizia, di ricerca personale, organizzazione convegni, ecc.: nel loro caso la crescita li ha portati dal 2,2% al 3,7%. Negli ultimi vent’anni si è verificato anche un aumento del peso delle attività legate all’istruzione e alla sanità private: nel 2023 hanno rappresentato il 2% del valore aggiunto totale, mezzo punto più di 18 anni prima. 

Un rilevante problema che emerge da questo scenario di trasformazione strutturale è quello della produttività: tradizionalmente (e non solo in Italia) la produttività  del settore dei servizi è cresciuta meno di quella dell’industria (+17% contro +58% tra 1992 e 2022, nel caso del nostro Paese). La manifattura gode infatti  maggiormente dell’apporto del progresso tecnico, ma se il futuro dell’economia è destinato a essere in mano ai servizi, in particolare quelli privati, sarà prioritario rendere questi sempre più produttivi, a beneficio anche di chi ci lavora.