L’Indice di Sviluppo Umano (ISU), definito comunemente Human Development Index (HDI), è un indicatore di sviluppo macroeconomico che costituisce una modalità diversa di valutazione del benessere di una nazione, perché tiene conto, oltre che del PIL pro-capite, anche di altri fattori della società, tra cui la speranza di vita alla nascita, il quantitativo di calorie alimentari disponibili pro-capite, la disponibilità di acqua potabile, il tasso di alfabetizzazione e il tasso di scolarizzazione della popolazione, l’accesso ai servizi sanitari e il grado di libertà politica.
L’introduzione dell’ISU ha rappresentato il passaggio importante dai limiti posti alla base della concezione tradizionale di sviluppo considerato come crescita economica all’idea che lo sviluppo debba essere considerato come un processo che non si esaurisce nella sfera economica.
A tal proposito, uno studio dell’Associazione di Sviluppo Sostenibile e Capacitazione, prendendo ad esempio i casi Uruguay e Arabia Saudita, ha dimostrato l’evidenza che, ad alti livelli di reddito, non corrisponda per forza un adeguato livello di sviluppo umano. Nonostante il livello di reddito dell’Uruguay sia inferiore a quello dell’Arabia Saudita (UNDP 2007), le persone in Uruguay hanno un’aspettativa di vita più lunga, il tasso di alfabetizzazione delle donne è più alto e la popolazione gode di maggiori libertà rispetto al paese arabo (Deneulin and Shahani, 2009).
L’origine dell’Indice di Sviluppo Umano è da rinvenirsi nel rapporto originale dell’ONU, stilato dallo Human Development Report Office, per il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.
Nel 1990 Mahbub ul Haq, economista e politico pakistano, cercò, attraverso lo Human Development Index, di “spostare il focus dello sviluppo economico del PIL alle politiche di sviluppo incentrate sulla persona”. Così, a tal proposito, formò un gruppo di economisti, tra cui Paul Streeten, Frances Stewart, Gustav Ranis, Keith Griffin, Sudhir Anand e Meghnad Desai.
Tra i più importanti sostenitori della Teoria sullo sviluppo umano emerge Amartya Sen, economista e accademico indiano, nonché Premio Nobel per l’economia nel 1998.
L’Indice di Sviluppo Umano si avvale di 4 indicatori:
1. Life expectancy at birth, ovvero l’aspettativa di vita alla nascita: rappresenta la durata media di vita attesa per un neonato in base ai tassi di mortalità registrati nell’anno considerato;
2. Mean years of schooling, ovvero gli anni medi di istruzione ricevuta dagli individui dai 25 anni in su;
3. Expected years of schooling (anni attesi di scuola), ovvero gli anni medi di istruzione che un bambino al primo anno di scuola si aspetta di ricevere in base ai tassi di iscrizione correnti;
4. GNI per capita (PPP $) (Reddito Nazionale Lordo pro-capite a parità di potere d’acquisto).
Questi indicatori verranno utilizzati per formare gli indici dimensionali, ovvero l’Indice di Aspettativa di Vita (Life Expectancy Index), l’Indice di Istruzione (Education Index) e l’Indice di Reddito (Income Index), i quali saranno infine combinati per il calcolo dell’HDI.
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Va detto innanzitutto che l’indice di sviluppo umano è in crescita in tutti i paesi del mondo, ma con delle eccezioni.
Per quanto riguarda il 2019, evidenziamo che:
Il paese più sviluppato al mondo, stabilmente da qualche anno, è la Norvegia (0,957), seguita da Svizzera, Irlanda, Hong Kong, Islanda, Germania, Svezia.
Il paese meno sviluppato al mondo è il Niger (0,394), preceduto da Repubblica Centrafricana, Ciad, Sud Sudan e Burundi.
Il paese che è cresciuto di più negli ultimi 10 anni (2010-2019) è il Niger (+1,95%), che comunque rimane ultimo, seguito da Zimbabwe e Burkina Faso.
Il paese che invece ha avuto il tracollo più significativo è la Siria (-1,87%), seguita da Libia e Yemen.
Negli ultimi 30 anni (1990-2019) a crescere di più è stato il Ruanda (+2,74%), poi Mozambico e Mali.
Non ci sono invece paesi che negli ultimi 30 anni hanno visto decrescere il loro indice di sviluppo umano.
Dei 30 paesi più sviluppati al mondo, 21 sono europei (come nel 2018, erano 19 nel 2017).
Gli ultimi 30 posti sono tutti occupati da paesi africani, fatta eccezione per Yemen, Afghanistan e Haiti.
L’Italia è 29esima con 0,892 (stessa posizione del 2018, ma aveva 0,883, nel 2017 era 28esima con 0,880).
Fonti consultate:
Banca Mondiale, sezione "Metadata" dell’indicatore Life Expectancy at Birth al link http://databank.worldbank.org/data/home.aspx;
Nazioni Unite (http://hdr.undp.org/en/content/expected-yearsschooling-children-years);
UNESCO Institute for Statistics, 2013 (http://data.uis.unesco.org);
Deneulin and Shahani, 2009: Séverine Deneulin and Lila Shahani, “An Introduction to the Human Development and Capability Approach: Freedom and Agency”, Routledge, London;
Lenius.it.