L’editoria, il cinema, la televisione, la fotografia, l’archeologia, l’intero sistema museale, le biblioteche e gli archivi danno lavoro a 771.300 italiani secondo i dati Eurostat del 2021. Si tratta di coloro che svolgono quelle che sono definite le professioni culturali, e che all’interno dei settori citati si occupano della parte creativa o conservativa. Sono quelli che scrivono un libro, restaurano un dipinto, scattano una foto. Esclusi, però, coloro che si dedicano a compiti manageriali, amministrativi o commerciali, altrimenti i numeri sarebbero decisamente più alti.
Per comprendere se la cifra di 771.300 sia elevata o meno si deve effettuare un confronto con le altre realtà europee e con i numeri degli anni scorsi. Il dato che salta subito all’occhio è che i lavoratori della cultura sono diminuiti sia rispetto al periodo pre-pandemico sia rispetto al 2020. Erano nel 2019 834.500, sono scesi a 791.100 l’anno successivo, per calare di quasi 20mila unità nei 12 mesi successivi. Complessivamente, quindi, tra 2019 e 2021 si è verificata una riduzione di ben il 7,6%. Si tratta di un fatto rilevante, perché il numero totale degli occupati in Italia ha subìto un decremento molto minore, del 2,6%. Se, poi, in gran parte degli altri settori economici, tra 2020 e 2021, c’è stato un recupero con la ripartenza dell’economia dopo le chiusure e i lockdown, nella cultura il calo è proseguito.
A influire su questi dati è la natura precaria di tanti contratti di lavoro che vengono applicati in questo settore economico che, per di più, occupa più giovani rispetto ad altri settori e, come si sa, con la pandemia sono stati proprio i lavoratori a termine e gli stagisti, oltre agli autonomi, a essere stati maggiormente colpiti dalla crisi economica.
Il confronto con il resto d’Europa
Questa riduzione di occupati è particolarmente significativa anche perché coincide con un parallelo recupero in gran parte degli altri Paesi europei: nella Ue i lavoratori della cultura sono 7 milioni e 363mila, circa 6mila in più che nel 2019. Fatto 100 il numero degli occupati europei, il 3,7% di loro è occupato nel settore culturale rispetto al 3,4% italiano. La percentuale massima viene raggiunta nei Paesi Bassi dove è impiegato il 5,1% di quanti hanno un lavoro. Seguono Estonia (4,9%), Slovenia (4,7%), Danimarca e Finlandia (4,6%). Agli ultimi posti vi è la Romania: qui solo l’1,4% vive di cultura. In Slovacchia sono il 2,9%, e in Irlanda e Bulgaria il 3%. L’Italia si colloca tra i Paesi in cui tale percentuale è minore, superata da Francia, Grecia, Spagna che prima del Covid in realtà vedevano far parte di questo settore una porzione uguale o inferiore di chi era occupato.
A caratterizzare le professioni culturali nel nostro Paese e nel resto d’Europa è, poi, una maggiore presenza femminile. In Italia il 44% di quanti lavorano in tale ambito sono donne, mentre mediamente queste rappresentano il 42,5% dell’occupazione complessiva italiana. Nella Ue, però, le lavoratrici nel settore della cultura arrivano al 47,2% del totale, e sono la maggioranza in Estonia e Lituania (qui superano il 60%) nonché in Lettonia, in Finlandia, in Danimarca, in Svezia.
È interessante notare, tuttavia, che le donne impiegate nel settore nel nostro Paese hanno sofferto meno degli uomini la riduzione di occupazione causata dalla pandemia. Tra il 2019 e il 2021 sono diminuite di 22mila unità, il 6,1%, mentre i colleghi di genere maschile di 41.200, ovvero l’8,7%. Si tratta di una tendenza consolidata: rispetto al 2011 a fronte di una riduzione dei lavoratori della cultura, quelli di genere femminile sono cresciuti di 10mila. Ora, però, la sfida sarà eliminare il segno meno davanti alla cifra totale. Con l’attuale congiuntura, tuttavia, non sarà facile.