Il cigno nero nel gergo degli economisti è un evento negativo inatteso che peggiora le stime sui principali indicatori economici. L’11 settembre del 2001 ne è un chiaro esempio.
Ma probabilmente dalla Seconda Guerra Mondiale non siamo mai stati di fronte a un cigno nero delle dimensioni della pandemia di Covid che ha devastato le vite quotidiane di quasi tutti gli abitanti della Terra, e con esse l’economia, i consumi, la crescita.
Non allo stesso modo ovunque però. Questa crisi pandemica sembra avere impresso una accelerazione alle dinamiche già presenti a livello globale. Tra queste il cosiddetto catching up delle economie dei Paesi emergenti e in via di sviluppo rispetto a quelle dei Paesi avanzati, quelli del primo mondo.
Nel 1980 il PIL di questi ultimi costituiva il 62,8% di quello mondiale, perlomeno in termini di parità di potere d’acquisto (PPP). Nel 1990 era già sceso al 63,3%, all’inizio del nuovo millennio al 56,8%, e nel 2008, l’anno fatidico dell’inizio dell’ultima crisi finanziaria avvenne il sorpasso: più di metà del PIL mondiale cominciò a essere espresso invece dai Paesi meno in via di sviluppo, tra cui naturalmente molte economie in piena espansione. Cina, India, Sud-Est asiatico, Indonesia, ma anche Africa e Sudamerica, che hanno da qualche decennio ritmi di crescita superiori a Europa e Nordamerica.
Nel 2018 il PIL dei Paesi avanzati era solo il 43,5% di quello mondiale, nel 2019 tale percentuale è diminuita al 43,1%, e nel 2020 la discesa è accelerata, portandola al 42,5%.
La Cina è cresciuta del 2,3% nel 2020, l’area Euro ha subito una recessione del 6,6%
Del resto nell’annus horribilis della pandemia l’economia cinese secondo il Fondo Monetario internazionale è riuscita a conservare il segno più, crescendo del 2,3%. Meglio ancora ha fatto il vicino Vietnam, +2,9%, o il Bangladesh, Paese già in boom economico prima del Covid, con un +3,8%. E l’Etiopia, che nell’ultimo decennio si è affermata come uno dei pesi massimi in Africa, con una crescita spesso addirittura in doppia cifra. Nel 2020 è riuscita a mettere a segno un ottimo +6,1%.
Il divario rispetto al calo del PIL negli Stati Uniti, del 3,5%, è ampio, ma ancora più stridente è il confronto con l’area euro, in cui il Prodotto Interno Lordo è arretrato del 6,6%, con grandi Paesi come Italia e Spagna che hanno fatto ancora peggio della media, con recessioni dell’8,9% e dell’11% rispettivamente.
Naturalmente anche prima del 2020 i tassi di crescita dei Paesi più dinamici tra quelli emergenti erano superiori a quelli europei e americani, ma l’anno scorso il gap è cresciuto a livelli record. I 4 punti che separavano nel 2019 il +5,8% della Cina e il +1,8% dell’Eurozona sono divenuti l’anno successivo 8,9.
Così Pechino nel 2020 è stata responsabile del 18,3% del prodotto interno lordo mondiale, in aumento di ben un punto rispetto al 2019. A restringersi sono state le porzioni di quasi tutti i Paesi avanzati. Non gli USA in realtà, ma certamente i Paesi europei. La Germania rappresentava l’anno scorso il 3,42% del PIL mondiale, in diminuzione rispetto al 3,47% del 2019, mentre l’Italia, che era scesa appena sotto il 2% due anni fa, l’anno scorso ha ulteriormente perso quote, andando all’1,87%.
Mentre la percentuale di PIL mondiale della UE che tra 2018 e 2019 era calata solo di un decimale, da 15,5% a 15,4%, nel 2020 è scesa di colpo al 14,9%.
PIL pro-capite europeo in discesa di 2400 dollari nel 2020, quello cinese in aumento di più di 500
Le ragioni alla base di questa accelerazione dei trend economici sono note: nei Paesi in via di sviluppo le restrizioni applicate per frenare la pandemia sono state dopo la primavera del 2020 molto più blande che nei Paesi avanzati, in particolare in quelli europei. Sia perché il virus è stato tenuto a bada in modo efficace, come nell’Est dell’Asia, sia per la diversa composizione demografica che vede il peso della terza età essere molto inferiore.
E la demografia è chiaramente un fattore decisivo di spinta della crescita. Una buona parte dell’aumento del PIL è dovuto solo all’incremento della popolazione, più sostenuto in questa parte del mondo che in Europa o negli USA.
E tuttavia anche considerando il solo PIL pro-capite, sempre in termini di parità di potere d’acquisto (PPP), quindi quanta ricchezza viene prodotta per abitante, i Paesi avanzati hanno segnato il passo lo scorso anno. Quello della UE è sceso da 46.589 dollari a testa a 44.190 tra 2019 e 2020. Mentre in Cina è aumentato di 532 dollari, da 16.659 a 17.192. Tra l’altro anche in questo caso in decisa accelerazione rispetto a quanto accaduto tra 2018 e 2019, quando il progresso era stato di 141 dollari.
E qualcosa di simile è accaduto nella gran parte dei Paesi in via di sviluppo.
Quando la pandemia sarà terminata probabilmente sarà ancora più chiara l’ineluttabilità di un processo del resto in atto da più di 30 anni: la perdita di centralità del Nord del mondo.