Il rallentamento dell’economia che colpisce l’Italia dalla primavera scorsa si accanisce sopratutto su un indice, quello della della produzione industriale. A livello congiunturale (cioè rispetto al mese di ottobre) il calo è stato dello 0,3%, mentre in termini tendenziali (cioè rispetto a novembre 2021) è stato del 3,7%. Ancora non è possibile sapere se queste dinamiche contribuiranno a una recessione nel 2023 – le ultime stime sembrano scongiurarla - ma sono indicative di una frenata di quello sviluppo economico che aveva caratterizzato l’uscita dall’emergenza pandemica.
Guardando i dati più nel dettaglio è evidente, comunque, come i numeri siano trascinati in basso dalla componente energia: in 12 mesi la produzione di beni energetici, da sempre sottoposta ad ampie oscillazioni, è scesa del 17,1%. Giù del 10,8% anche quella di carta e legno. Registrano, invece, il segno più alcune voci importanti, che riguardano settori innovativi e ad alto valore aggiunto. Per esempio, a livello tendenziale aumenta del 6,4% la produzione di farmaci e beni farmaceutici. Non solo, cresce del 7,3% quella di computer, apparecchi elettromedicali, elettronici e riguardanti l’ottica. Della stessa percentuale, il 7,3%, si incrementa anche la fabbricazione di mezzi di trasporto, mentre è sempre positivo l’andamento produttivo di macchinari e apparecchiature n.c.a (non classificate altrove). In generale mostrano segni di rialzo i beni strumentali e vi è una diminuzione per quelli intermedi o di consumo.
L’andamento nel resto d’Europa
Come va, invece, negli altri Paesi? Considerando solo novembre, l’Italia risulta essere uno degli Stati membri della UE con i dati tendenziali più negativi, visto che in media a livello comunitario la produzione industriale è cresciuta dello 0,9%. Le variazioni più positive sono state quelle dell’Irlanda, di Malta, della Danimarca, del Belgio e della Bulgaria. Tuttavia, è molto più appropriato osservare questi numeri in una prospettiva più ampia, per cogliere i segnali strutturali. Se, come fa Eurostat, prendiamo come riferimento il livello medio di produzione industriale del 2015, scopriamo che nel nostro Paese in circa 7 anni, fino al novembre scorso, c’è stato un aumento del 3,3% dell’indice. Certo, in aprile, prima che si sentissero gli effetti dell’attuale rallentamento, la progressione era del 7,4%, però abbiamo fatto meglio di altri Paesi. In particolare, meglio di Francia e Germania.
In entrambi i casi i numeri sono inferiori a quelli del 2015. Ponendo uguale a 100 la produzione di quell’anno, in Francia pochi mesi fa era di 98,4, mentre in Germania era addirittura di 95,7. Il dato è rilevante in particolare per l’economia tedesca, che dipende molto più di quella francese dal settore industriale. Non è un caso che anche dal punto di vista del Pil tra fine 2019 e metà 2022 queste due locomotive della Ue, assieme alla Spagna, abbiano messo a segno le performance peggiori in Europa.
Le progressioni maggiori sono quelle dei Paesi dell’Est, con la Polonia che, per esempio, oggi ha una produzione industriale del 52,9% superiore a quella del 2015. Se la sono cavata bene anche realtà come il Belgio o la Danimarca, con incrementi maggiori del 30% e molto più ampi di quelli medi Ue, +9,2% o dell’Eurozona, +5,9%.