L’Italia non ha mai presentato alti livelli di disuguaglianza tra i redditi, soprattutto se il confronto è con quelli di Regno Unito, Stati Uniti e di gran parte dei Paesi di America, Asia, Africa. All’interno della Ue, invece, il suo coefficiente di Gini, nel 2020 di 0,302, risulta solitamente intorno alla media o poco superiore, a seconda degli anni. Si tratta di un indice che va da 0 a 1 e che per maggiore comodità possiamo indicare anche in termini percentuali, quindi in questo caso 30,2.
In particolare misura quanto il reddito o la ricchezza si distribuisce tra la popolazione. In un’ipotetica situazione in cui ognuno ha esattamente le stesse risorse il coefficiente è 0, mentre dove è tutto, all'interno di un dato territorio (tipicamente uno Stato) in mano a una sola persona il coefficiente è pari a 1 (o 100).
A idearlo è stato Corrado Gini (1884-1965), statistico italiano, fondatore nel 1926 dell’Istat, di cui fu anche primo presidente fino al 1932, e che si occupò soprattutto di economia e appunto della misurazione della distribuzione dei redditi.
Tale livello di disparità, di 30,2, comunque non è quello "naturale", bensì quello che viene raggiunto dopo l’intervento dello Stato. Senza i fondi pubblici, la disparità tra le persone sarebbe decisamente più alta: 44,3.
Ma come interviene lo Stato nella distribuzione della ricchezza? In due modi: con i trasferimenti pubblici e con il prelievo fiscale. Con i primi, destinati alle famiglie con redditi inferiori, fa scendere la disuguaglianza a quota 33,8, mentre con il prelievo fiscale nei confronti delle persone più facoltose lo riduce di altri 3,6 punti.
Si tratta di una vera e propria azione di redistribuzione che, naturalmente, è più incisiva nel Mezzogiorno dove il coefficiente di Gini di base sarebbe altrimenti di 46,5, ovvero più alto della media italiana. In sostanza nel Sud e nelle Isole i divari tra gli abitanti sono maggiori che nel resto del Paese. E proprio qui però pensioni e altri interventi di sostegno riescono ad abbatterli di più, diminuendo l’indicatore di disuguaglianza di 12,6 punti, mentre l'intervento statale al Nord lo fa calare di 9,5. Del resto in quest’ultimo caso si parte da un valore inferiore, di 40,7.
Nel Mezzogiorno anche l’azione del fisco ha un effetto maggiore, di 4,3 punti contro il 3,6 medio. Il risultato è che i coefficienti di Gini sono alla fine piuttosto omogenei a livello territoriale, di 29,6 nel Meridione e del 28,3 nelle regioni settentrionali.
L’ulteriore azione redistributiva delle misure anti-Covid
Tradizionalmente il welfare italiano si è sempre basato soprattutto sulle pensioni. Sono queste, e in particolare quelle di vecchiaia, di invalidità, di reversibilità, che hanno avuto il compito di rimpinguare le entrate delle fasce di popolazione più povere: chi non aveva mai avuto un lavoro continuativo, o magari ne aveva uno poco remunerativo. Rappresentano ben il 69,2% dei redditi lordi del 20% delle persone più indigenti che hanno beneficiato anche di altri interventi di più recente introduzione, come Naspi e Reddito di cittadinanza.
Tuttavia con la pandemia, che ha colpito soprattutto proprio chi aveva impieghi più precari e salari più bassi, si è reso necessario sia un maggior utilizzo degli strumenti già presenti che altri interventi del tutto nuovi, senza i quali il livello della disuguaglianza sarebbe stato inevitabilmente superiore. Nello specifico il rischio di povertà sarebbe stato del 19,1% e il coefficiente di Gini di 31,8.
L’allargamento della Cassa Integrazione e l’incremento nell’uso del Reddito di cittadinanza li hanno portati rispettivamente al 18,3% e a 30,6, mentre l’introduzione del Reddito di Emergenza e del bonus per gli autonomi li hanno fatti calare al 16,2% e al valore finale del 2020 già citato, 30,2.
È il sussidio per le partite Iva che appare avere avuto in realtà l’effetto maggiore visto che è andato al 12,9% delle famiglie italiane contro l’1,5% del Reddito di emergenza.
Con tali misure, anche se di dimensioni inferiori a quelle messe in atto da altri Paesi occidentali, non si è evitato completamente che la crisi avesse un impatto anche pesante sui segmenti più fragili della popolazione, ma si è perlomeno attenuato finora quello che era stato un leitmotiv di precedenti recessioni, ovvero l’allargamento dei divari economici e sociali all’interno del Paese.