La spesa natalizia regge e cresce, sostenuta dall’occupazione

La spesa natalizia regge e cresce, sostenuta dall’occupazione
18-12-2025

A dicembre ogni famiglia italiana mediamente avrà a disposizione, per le spese natalizie, una somma aggiuntiva di 1.964 euro. Quella pubblicata da Confcommercio è una cifra rilevante, perché è più alta del 2,8% rispetto ad un anno fa e addirittura del 6,9% rispetto al 2019. Per di più si tratta di un incremento in termini reali, ovvero al netto dell’inflazione.

Come mai? È l’effetto della crescita (da 45,6 a 48 miliardi) dell’ammontare complessivo delle tredicesime dei dipendenti e dei pensionati al netto dei risparmi, dei contributi, dell’Irpef e di quelle imposte tipicamente pagate a fine anno come l’Imu o il canone Rai, e che quest’anno scendono da 9,5 a 9,4 miliardi. A ciò si aggiunge la spesa aggiuntiva prevista da parte di imprenditori, autonomi, liberi professionisti, che porta il totale a 49,9 miliardi. Tutto questo porta i commercianti a prevedere che le persone che faranno trovare a parenti ed amici regali sotto l’albero saranno l’81,5%, rispetto al 79,9% del 2024 e al 72,7% del 2022.

La spesa aggregata per i soli regali salirà, quindi, anche se di pochissimo: da 9,9 a 10,1 miliardi, ovvero da 210 a 211 euro pro-capite in termini reali. Si tratta del livello più alto degli ultimi 13 anni, ma ancora inferiore a quelli precedenti alla crisi del 2011-2012. Insomma, forse anche per cambiamenti socio-demografici (ci sono meno bambini), il grosso delle disponibilità aggiuntive andrà in altre spese, diverse dai regali. Bisogna poi considerare che sempre più spesso i regali sono acquistati in anticipo, durante il Black Friday e la Black Week, di fine novembre. Nel 2025 in questo periodo sono stati spesi 4,9 miliardi, tra canale online (quello che cresce di più) e fisico, per un aumento del 19,5% rispetto al 2024 e del 145% rispetto al 2019. 

I consumi beneficiano dell’aumento degli occupati
Questi aumenti dei consumi sono avvenuti nonostante i redditi pro capite dei dipendenti siano ancora mediamente inferiori, in termini reali, rispetto al 2019 e persino rispetto al 2007, rispettivamente del 2,6% e dello 0,6%.

La ragione di questa apparente contraddizione sta nel fatto che a essere cresciuti, in realtà, sono le ULA, le unità lavorative annue, cioè il numero dei dipendenti calcolato considerando due addetti part time come un lavoratore a tempo pieno. Sono salite dell’8,9% rispetto al 2019 e dell’8,5% rispetto al 2007 e questo aumento ha più che compensato la diminuzione dei salari reali. I 18,1 milioni di dipendenti attuali, insomma, tutti insieme spendono più dei 16,7 milioni di 6 anni fa anche se mediamente pro-capite prendono uno stipendio più basso di allora.

Per questo i redditi da lavoro dipendente, che rappresentano la maggioranza relativa dei redditi degli italiani, sono cresciuti a livello aggregato del 6,1% rispetto al 2019, anche più di quelli da lavoro autonomo e da impresa, +4,7%, seppure meno delle entrate da pensione e da trasferimenti pubblici, cresciute del 9,7%. Non aiuta il fatto che, invece, ci sia stata una riduzione dei redditi reali da capitale, del 2,2% rispetto al 2019 e addirittura del 32,2% dal 2007, né che le imposte e i contributi siano saliti più delle entrate di lavoratori e autonomi, del 6,9% negli ultimi sei anni.
 
Inoltre siamo in una fase di crescita economica, in cui l’aumento dell’occupazione è ormai fortemente rallentato rispetto agli ultimi anni. È però vero anche che il tasso di occupazione italiano rimane tutt’oggi inferiore alla media europea, il che porta a pensare che ulteriori aumenti siano ancora possibili. Ma è solamente da un ritorno della crescita dei salari che gli italiani potranno tornare a spendere stabilmente di più, recuperando i livelli pre-crisi del 2008.