Che il capitale umano sia fondamentale come e spesso più di quello finanziario per la crescita delle imprese e dei Paesi è una verità accettata da tutti gli economisti. Per questo motivo, investire nel suo accrescimento è, almeno sulla carta, l’obiettivo di ogni governo e, a tal fine, il PNRR italiano prevede una spesa di 33 miliardi e 810 milioni per istruzione e ricerca. L’obiettivo è innalzare le competenze in particolare dei più giovani, in un Paese, l’Italia, che detiene un record negativo: è quello nella Ue in cui vi sono meno laureati, dopo la Romania. Solo il 17,9% di chi è in età lavorativa, ovvero i 15-64enni, ha conseguito un titolo universitario, percentuale che sale al 27,8% per i 30-34enni, ma che rimane la seconda più bassa nell’Unione.
Ma oltre che all’economia, studiare fa bene anche alle finanze personali? Secondo i dati ufficiali dell’Ocse sì. Negli Stati più avanzati del mondo il 68% dei lavoratori laureati tra i 25 e i 64 anni ha redditi superiori a quelli mediani. Solo il 46% dei diplomati ha un reddito superiore alla mediana e appena il 27% degli operai e impiegati (con un titolo inferiore al diploma) ha stipendi allo stesso livello.
In Italia i dati non sono molto diversi. Il 23% dei laureati ha entrate che sono più del doppio di quelle mediane, mentre quelle di un altro 15% sono tra 1,5 e 2 volte più grandi di queste, e un ulteriore 28% è di poco (tra 1 e 1,5 volte) al di sopra di tale soglia. Nel complesso, a cavarsela meglio dell’italiano medio è il 66% dei laureati.
È così un po’ ovunque, in particolare laddove i lavoratori con titolo universitario sono pochi, una sorta di élite. Per esempio, in Colombia, Costa Rica, Cile, dove i “dottori” che hanno guadagni inferiori alla mediana sono veramente pochi, anche meno del 20%..
Il ritorno finanziario della laurea nel lungo periodo è di 203.300 dollari
L’Ocse ha anche calcolato quello che è il beneficio di lungo periodo degli studi universitari, che si può tradurre nel valore attuale netto dei maggiori guadagni che una laurea può garantire nel corso della vita lavorativa rispetto a chi si è fermato al diploma. In pratica, l’Ocse ha calcolato il saldo tra i maggiori salari e i costi degli studi - che in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, sono molto rilevanti - considerando anche le potenziali mancate entrate degli anni dedicati ai corsi universitari e i minori sussidi e contributi statali dovuti ai redditi superiori percepiti.
Tale saldo è ovunque positivo e vale mediamente negli Stati OCSE 287.200 dollari se misurato a parità di potere d’acquisto, considerando quindi anche i diversi livelli dei prezzi. Questo è il patrimonio aggiuntivo che si ritrova un laureato alla fine della carriera.
Tale cifra risulta essere molto più alta, pari a 587.400 dollari, negli Usa, dove i costi del college sono altissimi, ma ancora più elevati sono gli stipendi che un buon titolo può assicurare.
Viceversa, in Italia il vantaggio in termini finanziari nel proseguire gli studi appare inferiore e uno dei più modesti nel mondo occidentale. Corrisponde mediamente a 203.300 dollari, principalmente perché le entrate aggiuntive rispetto a quelle di un diplomato sono più basse che altrove.
Probabilmente questo è uno dei motivi per cui la percentuale di quanti vanno all’università continua a rimanere più bassa della media europea nel nostro Paese. Avere più laureati è necessario e utile, ma può non bastare se mancano mansioni ad alto valore aggiunto che, come avviene per esempio nei Paesi anglosassoni, possano garantire loro un adeguato sbocco professionale.