Rappresentano solo lo 0,3% di tutte le imprese, ovvero 13.472 su 4.452.884, una quota quindi apparentemente piccolissima, eppure le aziende italiane a controllo estero sono molto importanti per l’economia nazionale. Secondo i dati Eurostat del 2021 occupano un milione e 673mila persone, il 9,5% dei lavoratori del settore privato in Italia. A determinare tale discrepanza tra numero di aziende e quota di forza lavoro coinvolta sta il fatto che, mediamente, le imprese a controllo estero sono più grandi delle altre imprese del nostro Paese, occupando in media 124 lavoratori, contro la media italiana di 4.
Anche dal punto di vista dei risultati economici la loro presenza è molto più rilevante di quanto il mero numero potrebbe fare pensare: le aziende a controllo estero generano infatti un valore aggiunto di 166,5 miliardi, che rappresenta il 16,9% di quello complessivo.
Ma da chi sono controllate? La maggioranza, 7.499, da gruppi che hanno la propria sede nell’Unione Europea, in particolare in Germania, 2.162, in Francia, 1.718, in Spagna, 706. Ancora di più di quelle spagnole sono però le aziende che operano in Italia ma che hanno il quartier generale nel piccolo Lussemburgo, ben 727, che probabilmente hanno scelto il Granducato anche per ragioni fiscali.
Per le imprese con sede in altri Paesi dell’Unione europea lavora il 5,3% degli addetti del settore privato, generando il 9,2% del valore aggiunto italiano, mentre il 4,2% dei lavoratori è impiegato in gruppi a controllo extra europeo. Nell’ambito di questi ultimi la parte del leone la fanno le imprese americane, che sono 1.907, seguite da quelle inglesi, 1.482, e svizzere, 1.130.
Il peso delle multinazionali straniere è più importante nel settore manifatturiero rispetto ad altri comparti. Qui, infatti, la quota di valore aggiunto prodotto da aziende controllate dall’estero giunge al 21,7%, più della media complessiva del 16,9%, con un picco nell’industria farmaceutica, in cui si arriva al 47,7%.
È la Francia il Paese con la minore presenza di multinazionali straniere
L’Italia, comunque, è tra i Paesi europei meno “globalizzati”: 23 membri Ue su 27 vedono un maggiore impatto delle aziende estere. La prima ragione, naturalmente, sta nelle dimensioni: è normale che in una realtà piccola, di pochi milioni di abitanti, le multinazionali del resto del mondo incidano di più. Ma non è l’unico motivo: vi sono chiaramente anche motivi fiscali, ragioni logistiche o motivazioni legate al costo del lavoro. L'Irlanda, per esempio, è il Paese dell’Unione Europea in cui le imprese a controllo estero contano di più, producendo ben il 71,9% del valore aggiunto nazionale, una caratteristica senz’altro dovuta anche al trattamento fiscale particolarmente favorevole ricevuto dalle aziende straniere che scelgono di stabilirvisi sull’Isola.
In Francia e in Germania, invece, le multinazionali straniere sono responsabili rispettivamente di solo il 14,5% e il 16,7% di tutto il valore aggiunto, meno che in Italia. Sono invece il Lussemburgo e la Polonia i Paesi in cui è maggiore la percentuale di lavoratori impiegati in questa tipologia di imprese, rispettivamente il 43,8% e il 32,1%, mentre è in Grecia che si raggiunge il valore minimo a livello europeo, 7,5%. In quasi tutti i casi la maggioranza lavora per multinazionali europee ma in Irlanda, Paesi Bassi e Francia prevalgono le aziende a controllo extra-europeo.
Naturalmente anche le imprese italiane sono presenti in altri Paesi. In Romania sono ben 4.921 quelle controllate da un quartier generale collocato in Italia, occupando complessivamente 108.619 persone e generando un valore aggiunto di 2,7 miliardi. In Francia, sebbene meno numerose (1.345), le imprese italiane producono annualmente 10,8 miliardi di valore aggiunto: un dato certamente non irrilevante, ma sempre molto inferiore ai 33,6 miliardi di euro generati dalle aziende a controllo francese in Italia.