La crescita economica di Roma nei prossimi anni non potrà essere solo l’effetto di maggiori investimenti esterni, pubblici o privati, ma dovrà trarre forza anche da importanti cambiamenti endogeni.
Secondo l’analisi della Banca del Fucino la ripresa economica della Capitale potrà far leva sulla valorizzazione di potenzialità già oggi presenti. Quali sono?
Iniziamo con il verde pubblico. Roma è la città più “green” d’Europa per quanto riguarda il numero di ettari di parchi, giardini, aiuole, riserve naturali e campi agricoli compresi nei propri confini. E tuttavia questi non sono valorizzati come meriterebbero a causa di una manutenzione carente, che soffre anche di una grande scarsità di personale.
Il settore pubblico si è ritagliato il ruolo di semplice stazione appaltante, che affida ad aziende esterne la gestione del verde, frammentandola e rendendola poco efficiente. Un Servizio giardini municipale che si occupi del grande patrimonio ambientale romano in modo professionale e specializzato innalzerebbe probabilmente la qualità del servizio, e sarebbe anche da stimolo per il settore privato. Una gestione migliore renderebbe possibile trasformare le ville, i parchi e i giardini romani in attrattive turistiche, come avviene in altre grandi città, per esempio a New York con Central Park.
Naturalmente, perché questo avvenga è necessario un generale miglioramento della governance del settore pubblico. In questo senso sarà vitale approfittare di quei capitoli del PNRR in cui si delinea una riforma della Pubblica Amministrazione. Attraverso la digitalizzazione e la semplificazione burocratica questa sarà meglio attrezzata per gestire direttamente e con più alti standard qualitativi le funzioni che a essa fanno capo. Come il verde, appunto, e molto altro.
Il ruolo dell’università e del centro storico
Ci sono altri elementi che non sono stati finora adeguatamente valorizzati, nonostante le dimensioni e le caratteristiche strutturali di Roma li rendano particolarmente centrali. Come il sistema universitario.
Nonostante siano 250mila gli iscritti ai 40 atenei della Capitale, solo il 57% proviene da un altro comune. Mentre sono il 78.8% a Milano, il 75% a Torino, l’80% a Napoli. Allo stesso tempo, è più alto della media il rapporto tra gli studenti residenti a Roma che si iscrivono alle università non romane e i fuori sede che arrivano in città.
Manca anche un vero trasferimento tecnologico tra università e imprese, cosa che si riflette pure nel mismatch tra i profili ricercati sul mondo del lavoro e quelli che escono dalle facoltà della Capitale.
Sembra, a maggior ragione, non rinviabile la creazione di un Politecnico romano, che raggruppi gli insegnamenti nelle discipline scientifico-tecnologiche (c.d STEM) con l’obiettivo di far nascere un polo di eccellenza attrattivo verso il resto del Paese e d’Europa, che accresca i laureati in materie scientifiche e che possa stimolare un aumento della spesa in ricerca e sviluppo, sia da parte del settore pubblico che delle aziende private.
Vi è poi il centro storico. Quello di Roma, il “Tridente”, ha oggi meno di 25mila abitanti, e ne ha persi ben il 26,8% dal 2015, mentre in tutta la città la contrazione della popolazione nello stesso lasso di tempo è stata dell’1,6%.
Dal punto di vista economico vi è stata una concentrazione nelle aree centrali della Capitale di attività a basso valore aggiunto, dai bed & breakfast ai negozi di souvenir di scarsa qualità.
Appare urgente, quindi, intervenire attirando in questa area di Roma anche altre tipologie di imprese, come le startup fondate da giovani. E ai giovani stessi dovrebbero inoltre essere indirizzate nuove politiche abitative, come sta avvenendo in altre città europee quali Parigi e Barcellona, anche utilizzando immobili di proprietà del comune e di enti pubblici.