Gli ultimi mesi dell’anno sono tradizionalmente il momento delle stime sulla crescita del Pil per l’anno successivo. Così è successo anche quest’anno e i responsi, come spesso accade, divergono. È d’obbligo partire con quelle ufficiali del Governo. Il nuovo esecutivo ha confermato la NaDef (la Nota di aggiornamento al Def) del precedente esecutivo, quello guidato da Mario Draghi, che immagina una crescita dello 0,6% per il prossimo anno. Si tratterebbe di un forte rallentamento dopo il +3,7% probabile del 2022, ma almeno eviteremmo una riduzione del Pil.
È da sottolineare, però, che a questo risultato arriveremmo con un aumento del rapporto deficit/Pil rispetto a quello prospettato dal Governo Draghi che, a fine settembre lo prevedeva al 3,9%, mentre nella NaDef più recente viene stimato al 4,5%. Si tratta della presa d’atto del peggioramento dei fondamentali economici e della necessità di uno sforzo di finanza pubblica maggiore per mantenere la crescita italiana a un livello accettabile e superiore a quello che, invece, ritengono probabile altri previsori.
Non a caso la Commissione Europea, nel suo “Autumn Forecast”, ritiene che il Pil del nostro Paese aumenterà solo del 0,3% l’anno prossimo, ma questo avverrebbe in concomitanza con il raggiungimento di un rapporto deficit/Pil inferiore a quello stimato dal Governo, del 3,6%. In sostanza Bruxelles si aspetta che cresceremo meno anche perché faremo meno disavanzo.
Si tratta all’incirca della stessa differenza tra uscite (interessi sul debito inclusi) e entrate che vede il Centro Studi di Confindustria, secondo il quale il deficit del 2023 arriverà al 3,5% del Pil. In questo caso, però, vi è più pessimismo sulla crescita, che sarà esattamente zero nel 2023.
Per Moody’s ci attende una recessione dell’1,4%
Banca d’Italia, invece, la pensa esattamente come la Commissione Europea. Nel suo ultimo bollettino afferma che l’anno prossimo l’economia italiana si espanderà dello 0,3%, poco meno della media dell’area euro (+0,5%). Tuttavia ciò avverrà solo se non si verificherà lo scenario più avverso, quello in cui le forniture di gas russo dovessero interrompersi del tutto e l’energia dovesse subire ulteriori rincari. In tal caso vi sarebbe una recessione significativa, dell’1,5%. Quest’ultima stima si avvicina, e, anzi, supera in pessimismo quelle di altre istituzioni come, per esempio, il Fondo Monetario Internazionale che, nel suo World Economic Outlook pubblicato ad ottobre, vede una riduzione del Pil per il nostro Paese l’anno prossimo. Scenderebbe dello 0,2%, a fronte di una crescita dell’Eurozona di mezzo punto e una dell’1% degli Stati Uniti, mentre in Germania vi sarebbe una recessione peggiore della nostra, dello 0,3%.
È bene sottolineare, però, come le stime appena precedenti del Fmi, quelle di aprile e luglio 2022, parlassero di un’espansione della nostra economia solo del 2,3% (aprile) e del 3% (luglio) quest’anno, mentre a settembre quella già acquisita è stata certificata essere del 3,9%.
La previsione più negativa, però, è quella dell’agenzia di rating Moody’s, che del resto non è mai stata molto tenera con l’Italia. Secondo i suoi analisti l’anno prossimo il nostro Paese dovrebbe subire un calo del prodotto interno lordo di ben l’1,4% soprattutto a causa di un pessimismo marcato sull’andamento dell’economia globale che, quindi, influenzerà anche la nostra. Non a caso per la Germania la recessione, sempre secondo Moody’s, sarà ancora più profonda, dell’1,8%, e colpirà anche Paesi che tutti gli altri previsori vedono in crescita, come la Francia (-0,7%) e il Regno Unito (-0,5%). Il Pil degli Usa, invece, aumenterebbe, ma solo del 0,4%.
L’impatto della guerra in Ucraina e dei rincari si rivelerà sopravvalutato anche per il 2023 come è stato per il 2022?