Negli ultimi 14 anni l’economia della Capitale si è espansa meno della media nazionale e, in particolare, meno di quella di Milano. È il risultato di un'analisi della Banca del Fucino che mostra come, tra il 2007 e il 2020, la provincia di Roma non sia riuscita a tenere il passo del resto del Paese in due ambiti, quello del valore aggiunto e, soprattutto, quello della produttività.
Il valore aggiunto romano nel 2009 era il 9,7% di quello nazionale, in aumento rispetto al 9,5% del 2007 e al 9,4% del 2008.Tuttavia, nel 2019 il peso dell’economia della Capitale è sceso al 9,3%, per poi risalire leggermente al 9,4% nel 2020. Questo nonostante la sua popolazione, nello stesso lasso di tempo, sia aumentata del 2,7%, mentre quella italiana è scesa.
Al contempo, abbiamo assistito a un calo ancora più evidente della produttività, ovvero del valore aggiunto per lavoratore: nel 2019 era solo l’83,1% di quella del 2007, e nel 2020, a causa della pandemia, è diminuita al 78,9%.
Il confronto più stridente è quello con Milano, e la sua Città Metropolitana. Il valore aggiunto meneghino è stato nel 2019 il 16,9% più alto di quello di 12 anni prima, ed è rimasto al di sopra di quel livello anche nel 2020, nonostante il Covid mentre la produttività è stata, sempre nel 2019 e 2020, rispettivamente del 36,2% e del 26,7% maggiore che nel 2007.
Un andamento opposto ha avuto, invece, l’occupazione. Quella della provincia di Roma è cresciuta tra il 2007 e il 2019 del 15%, e anche nel 2020 è risultata essere dell’11,8% più alta di 13 anni prima. Invece, a Milano e hinterland è diminuita del 14,2% tra il 2007 e il 2019 e del 15,3% tra il 2007 e il 2020. Dobbiamo, però, sottolineare che il grosso del calo occupazionale si è verificato entro il 2010, a causa della crisi finanziaria, e dopo vi è stato un lento ma costante recupero.
Una produttività minore, le ragioni strutturali
È per questo motivo che la produttività della Capitale (e relativa provincia) ha avuto performances decisamente peggiori. Perché, a fronte di un numero maggiore di lavoratori, è stato prodotto meno valore aggiunto rispetto al resto d’Italia, l’opposto di quanto accaduto nel capoluogo lombardo.
Le ragioni sono molteplici, gran parte delle quali strutturali. Nonostante Roma sia quarta tra le capitali europee a livello di Pil, è solo 19esima per numero di occupati nell’ambito della ricerca e sviluppo e al 25esimo per quanto riguarda la quota di occupati in imprese high-tech e per percentuale di laureati.
Inoltre, il Regional Innovation Scoreboard, l’indice sull’innovazione della Commissione Europea, assegna a Roma e provincia un punteggio di 74,3, decisamente più basso della media europea (uguale a 100). Non è un caso, quindi, che tra il 2007 e il 2018 nella Capitale il valore aggiunto del settore manifatturiero e di quello finanziario siano diminuiti mediamente del 3,2% e dell’1,5%. Si tratta dei due settori in cui generalmente vi è la maggiore produttività in economia.
A questi fattori si aggiunge una dinamica degli investimenti pubblici che è stata penalizzante per Roma; dopo la crisi finanziaria del 2009-09 sono diminuiti moltissimo a livello nazionale, ma quelli destinati alla Capitale ancora di più.
Prendendo in considerazione in particolare gli investimenti del Campidoglio, tra il 2009 e il 2021 sono stati di 7,9 miliardi, mentre quelli di Palazzo Marino sono arrivati a 11,1, nonostante gli abitanti di Milano siano circa la metà di quelli di Roma.
La ripresa post-pandemica sarà un’occasione di ripartenza per la Capitale, che potrà contare, innanzitutto, sulle 493mila imprese che formano il suo tessuto produttivo, di cui 100mila a conduzione femminile e 70mila straniera, e sul milione e 797mila lavoratori che contribuiscono ogni anno a produrre 133 miliardi di valore aggiunto.