L'economia italiana dopo il Recovery Fund

L'economia italiana dopo il Recovery Fund
21-05-2021

Passata definitivamente (ci si augura) la fase dell’emergenza sanitaria ed economica, è il momento della ripresa.

L’attenzione di imprese, consumatori, economisti e politici è rivolta alla capacità dell’Italia di tornare a crescere e in quale misura; all’impatto che tale ripresa avrà sull'occupazione con particolare riguardo ai settori economici che più di altri hanno sofferto per le restrizioni.

A differenza di altre crisi, in quella provocata dal Covid i Paesi Occidentali, Italia compresa, si sono astenuti da politiche pro-cicliche, preferendo anzi incrementare la spesa anche a costo di aumentare il debito pubblico. E, contrariamento a quanto accaduto durante la crisi finanziaria terminata il 2013, anche l'Unione Europea ha deciso di giocare un ruolo decisivo per la ripresa.

Il piano Next Generation Eu nonostante non riesca a raggiungere le dimensioni dello stimolo deciso dal governo americano, mette a disposizione 750 miliardi di euro, di cui la grande maggioranza, 672,5, vanno sotto il nome di “Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza”, il cosiddetto Recovery Fund, che distribuirà aiuti a fondo perduto e prestiti ai Paesi UE.
 

L'Italia, come si sa, è il Paese cui spetterà la fetta più grossa: 191,5 miliardi, di cui 122,6 di prestiti e 68,9 di grants, che dovranno compensare però il saldo per noi negativo di 20 miliardi nell’ambito del bilancio europeo del 2021-2027 (minori fondi ricevuti rispetto a quanto verseremo nelle casse dell’UE), nonché la scomparsa o il ridimensionamento di alcune voci del bilancio stesso, sostituite dai progetti legati al Next Generation Eu.
Oltre a questi la ripresa italiana sarà stimolata anche dal fondo complementare governativo di 30,6 miliardi e altri europei più specifici che portano il pacchetto completo di interventi da qui al 2026 a circa 248 miliardi

Ancora non è completamente chiara la copertura di tali spese, quanta sarà garantita da una tassazione aggiuntiva e quanta da altre fonti, ma sono gli investimenti che saranno generati da questi fondi quelli su cui in tanti fondano la speranza di una ripresa che non serva solo a riportare l’Italia a un livello di PIL prossimo a quello pre-pandemia, ma a rilanciare lo sviluppo economico del nostro Paese.

Nel 2024 il Pil sarà del 3,1% più alto che nello scenario base
Secondo le proiezioni del Governo italiano, pubblicate nel Pnrr, (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) al termine del periodo degli investimenti europei, nel 2024, 2025 e 2026, il Prodotto Interno Lordo sarà del 3,1% maggiore di quello che sarebbe senza alcun intervento (il cosiddetto scenario base). 

In base al piano, il risultato verrà raggiunto grazie a un forte incremento degli investimenti, che saranno più alti del 10,6%, sempre rispetto allo scenario base. L’aumento aggiuntivo dell’occupazione, invece, sarà del 3,2%, leggermente più alto di quello del Pil e di quello dei consumi, per i quali è prevista una crescita del 2,9%. 

Le donne si avvantaggeranno in misura particolare della crescita dell'occupazione. Al termine del piano di investimenti quelle con un impiego saranno il 3,7% in più rispetto allo scenario base e il 5,5% in più nel Mezzogiorno. Sempre nel Sud e nelle Isole l’occupazione giovanile dovrebbe crescere fino a essere del 4,9% più alta di quella che vi sarebbe senza Pnrr.

A essere favorite saranno soprattutto l'industria delle costruzioni, in crisi da moltissimi anni: il 3,3% dell’incremento del valore aggiunto dei prossimi anni dovrebbe provenire proprio da questo settore. Seguono con il 2,8% e il 2,7% le attività immobiliari e il commercio al dettaglio.

Del resto molti degli interventi previsti riguardano proprio le infrastrutture, per esempio nell’ambito dei trasporti e dell’energia. 

L’import però crescerà molto più dell’export
L'aumento dei consumi privati (ma soprattutto degli investimenti) richiederanno però importanti acquisti di strumentazione tecnologica che porteranno l’Italia a diminuire il proprio saldo positivo nella bilancia commerciale, quello che nel 2020 è salito a 636 miliardi. Le importazioni, infatti, nel 2024-2026 saranno del 4,7% più alte che nello scenario base, ma le esportazioni solo del 0,4%. 

Queste previsioni naturalmente vanno prese cum grano salis. Sono tantissimi i parametri in gioco, dal quadro economico globale alla capacità della politica di approvare l’enorme mole di leggi e riforme che il Pnrr contiene, alla volontà effettiva della UE di cambiare davvero strada rispetto alle politiche restrittive di bilancio che hanno caratterizzato il decennio precedente la pandemia.

Le stime del Governo sul calo del PIL nel 2020 si son rivelate più esatte di quelle di altri previsori, ma la distanza di diversi anni e le variabili in gioco inducono a una doverosa prudenza.