Le imprese italiane hanno vissuto il 2021, che è stato un anno di ripresa economica dopo il tracollo del prodotto interno lordo dell’anno precedente, in condizioni molto diverse.
In sostanza, le aziende del nostro Paese si sono divise in tre: quelle che tra giugno e ottobre 2021 hanno registrato un fatturato in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il 32,1%; quelle caratterizzate da ricavi stabili, pari al 33,7, e quelle, infine, per cui sono diminuiti o non sono stati realizzati, il 34,2%.
L’ISTAT ha preso in esame proprio il periodo giugno-ottobre perché questi mesi sono gli unici che anche nel 2020 erano stati caratterizzati da una riduzione o da una sostanziale assenza di restrizioni. Dunque, in questo caso un confronto ha senso.
In particolare, un 22,5% ha visto entrate in deciso incremento, di più del 10%, e tra questi un 9,6% addirittura del 25% o più. Viceversa, il 24,7% ha dovuto registrare perdite di più del 10%, mentre per l’1,6% questi mesi si sono chiusi senza alcun fatturato.
L’equivalenza tra i numeri di imprese che hanno avuto risultati positivi e negativi farebbe pensare a un’economia rimasta stabile, eppure il 2021 è stato caratterizzato da un deciso rimbalzo del Pil, del 6,5%, e anche dei ricavi delle imprese, nonché dell’occupazione, perlomeno rispetto all’anno precedente.
Cosa è accaduto allora? La realtà è che a essere cresciute sono state soprattutto le imprese medie e grandi, quelle che hanno un giro d’affari maggiore e il cui peso specifico sull’economia italiana è, quindi, più importante. Ben il 52,7% delle aziende con più di 250 addetti ha registrato fatturati in aumento, nel 35,4% dei casi anche di più del 10%. Al contrario, solo il 28,9% di quelle con meno di 10 dipendenti ha visto il segno più nello stesso periodo.
È da qui che viene, dunque, la ripresa: cioè dal fatto che a livello aggregato, per il sistema nel suo complesso, un incremento dei ricavi del 10% per una media o grande impresa vale molto di più del calo, sempre del 10%, di una piccola o micro.
Le differenze tra le aziende, tuttavia, non riguardano solo le dimensioni.
L’industria è andata meglio dei servizi
A livello settoriale, infatti, si nota un netto divario tra l’andamento delle realtà manifatturiere, il 41,5% delle quali ha vissuto una crescita (contribuendo a un saldo commerciale molto positivo sull’intero anno), e quelle dei servizi, tra le quali solo il 28,8% ha vantato un incremento dei ricavi.
In particolare, più del 40% delle imprese che si occupano di alloggio e ristorazione e di attività artistiche e legate all’intrattenimento ha subìto un’ulteriore riduzione del fatturato rispetto all’anno precedente. Stesso destino anche per quelle del settore assicurativo e finanziario.
Volendo osservare i due estremi del tessuto economico italiano, da un lato abbiamo le industrie con 50-249 addetti, quindi medie: il 60,6% di esse è cresciuto in quei mesi del 2021. Dall’altro, invece, quelle più piccole dei servizi (commercio escluso): solo il 26,1% ha messo a segno degli incrementi.
Il successo, però, ha un prezzo. Le imprese medie e grandi sono quelle che più stanno soffrendo del fenomeno della Great Resignation, che nel 2021 ha raggiunto anche il nostro Paese. Il 23% delle aziende con più di 250 addetti ha denunciato una quota di dimissioni superiore al 2020. Solo l’8,4% di quelle con meno di 10 dipendenti si sono trovate nella stessa situazione.
La maggiore percentuale di italiani che hanno cambiato impiego o semplicemente hanno deciso di non lavorare più, si riscontra nelle grandi realtà industriali e dei servizi, meno nel commercio.
In parte tale fenomeno, però, può anche essere visto come un segnale di ripresa: laddove la crescita dei ricavi è maggiore, si aprono anche più possibilità di assunzioni e di aumenti dei salari, che naturalmente attirano lavoratori alla ricerca di migliori condizioni.