
L'anno scorso sono nate 322.835 imprese, 12.785 in più rispetto al 2023. Ma la notizia non è solo questa: la crescita, pari al 3,46%, è stata anche la più alta dal 2010, se si esclude il dato del 2021, quando si era verificato un rimbalzo dai dati “artificialmente” bassi del 2020. Dei precedenti 15 anni ben 11 avevano visto una riduzione delle nuove imprese create. Il dato del 2024 appare quindi come un'importante inversione di trend.
Secondo Unioncamere, che fornisce queste statistiche, nel 2024 sono cresciute anche le cessazioni, ovvero le chiusure delle aziende, passate da 270.011 a 285.979, +5,9%. Tuttavia, il saldo tra nascite e morti di imprese rimane largamente positivo, di 36.856 unità, ed è superiore a quello degli anni immediatamente precedente al Covid, il 2018 e il 2019.
Dal punto di vista geografico, però, i dati mettono in luce importanti squilibri nell'economia nazionale: la grande maggioranza di tale saldo, il 55,3%, è dovuto a due sole regioni, Lombardia e Lazio, nonostante in queste si trovi solo il 25,2% delle imprese attive a livello nazionale. La differenza tra le aziende lombarde iscritte e cessate è stata infatti di 10.591 unità, mentre nel Lazio è stata di poco inferiore, 9.808, ovvero il 26,6% del saldo aggregato del Paese, anche se le imprese attive laziali sono solamente il 9,2% di quelle italiane.
Non solo: nella provincia di Milano, che conta il 38,7% delle imprese della Lombardia, si concentra un saldo positivo di ben 7.795 aziende, il 73,6% del saldo regionale. Nella provincia di Roma il saldo è ancora maggiore, pari a 8.015 imprese, ben l'81,7% del saldo laziale. Se andiamo poi a considerare anche il dato di Napoli, che ha visto un saldo positivo di 4.892 imprese, ecco che più di metà della differenza tra iscrizioni e cessazioni in Italia nel 2024 ha avuto luogo in sole tre province su 107, dove si trova solo il 17,7% della popolazione italiana e il 17,9% delle aziende attive.
Un'economia vitale, ma sempre più concentrata nelle grandi città
Questi dati raccontano di una concentrazione geografica dell'economia italiana che è in atto da tempo e che vede in prima linea i grandi centri metropolitani e quelli immediatamente limitrofi, mentre le altre aree mostrano una minore vitalità economica.
È infatti evidente, al Nord, il divario tra i numeri lombardi e quelli di altre regioni comunque molto forti economicamente, come Veneto ed Emilia-Romagna, nelle quali i saldi tra nascite e morti aziendali sono stati solo di, rispettivamente, 975 e 571 unità.
Ci sono poi aree in cui le imprese cessate hanno superato quelle iscritte: è il caso del Piemonte, dove il saldo negativo è stato di 382 unità; dell'Umbria, 335; delle Marche, 248; dell'Abruzzo, 101 e del Molise, 42. La tendenza all'accentramento delle attività nelle grandi città va di pari passo con l'incremento dell'importanza dei servizi (più o meno avanzati) sul totale dell'economia; spesso si tratta di servizi alla persona, ragion per cui queste imprese tendono ad essere maggiormente presenti laddove la popolazione è più numerosa. Un altro fattore importante è poi rappresentato dalla riduzione del peso – in termini di numero di imprese soprattutto – delle aziende industriali rispetto a quelle dei servizi: queste ultime, nel 2009, erano il 33% di quelle attive, mentre quindici anni dopo sono il 41,2%.
Nello stesso lasso di tempo è intervenuto un altro cambiamento: è salita dal 21,5% al 32,7% la quota delle società di capitali sul totale, mentre sono diminuite quelle individuali: è il segno di un aumento della dimensione media delle aziende, collegato anch'esso a una concentrazione presso i centri urbani più popolosi.