Parità di genere, molto rimane da fare, ma i progressi sono visibili anche in Italia

Parità di genere, molto rimane da fare, ma i progressi sono visibili anche in Italia
06-10-2021

Lavoratori con contratto a termine, tendenzialmente giovani, impiegati nel commercio, ristorazione, turismo. Queste le principali vittime della crisi del 2020. Ma c'è un'altra categoria di persone che è rimasta impigliata nella recessione: le donne.

Gli ultimi dati dell’Istat lo dimostrano: tra gennaio 2020, l’ultimo mese senza Covid, e agosto 2021 il numero delle donne occupate è sceso di 228mila unità, un calo sostanzialmente analogo a quello che ha interessato i lavoratori di genere maschile, 226mila persone. Peccato che gli uomini con un impiego fossero in partenza 13 milioni e 479mila e le donne solo 9 milioni e 759mila. In proporzione, è evidente l’impatto maggiore della recessione su queste ultime.
Si tratta di un dato particolarmente negativo per due motivi: 
Da un lato perché negli ultimi decenni l’Italia era riuscita a ridurre quel gap di genere che l’ha sempre caratterizzata in ambito lavorativo, con un incremento del tasso di occupazione femminile, che è passato dal 45,4% del 2004 al 50,1% del 2019, mentre quello maschile nello stesso lasso di tempo è sceso dal 70,4% al 68%. La differenza tra le due grandezze è passata, quindi, dal 25% del 2004 al 17,9% del 2019. In effetti, la crisi seguita al crack di Lehman Brothers e quella dell’euro avevano colpito di più gli uomini, avendo impattato in modo pesante su settori in cui era (ed è) il genere maschile a costituire la maggioranza dei lavoratori. Prima della pandemia, in altre parole, le donne stavano recuperando terreno. Ma c'è una seconda ragione che rende la crisi del lavoro femminile così grave: è aumentata la differenza del tasso di occupazione italiano rispetto a quello medio europeo: fino al 2008 è stato intorno al 10%, oggi è al 13,5%. La distanza con la Ue, quindi, è più ampia. Stiamo peggiorando, tanto è vero che restiamo il Paese con il tasso di occupazione femminile peggiore del continente dopo solo la Grecia.

Ma le donne eccellono negli studi e nella sanità e nella magistratura sono maggioranza
I segnali positivi
, tuttavia, non mancano. Quelli più importanti vengono dall’ambito dell’istruzione. Non solo le donne costituiscono la maggioranza dei laureati, ma soprattutto la quota di quante hanno completato gli studi universitari è cresciuta molto più velocemente che tra gli uomini, in particolare se parliamo di giovani. Tra i 30 e i 34 anni è passata dal 12,5% al 34,3% in 20 anni, tra il 2000 e il 2020; mentre nel caso degli italiani di sesso maschile è cresciuta dal 10,8% al 21,4%.

Non solo, vi sono ambiti professionali di assoluta rilevanza che ormai sono a netta prevalenza femminile. Per esempio la sanità. Dove è donna il 54% dei medici sotto i 65 anni, così come il 57% di quelli sotto i 60 anni e il 60% degli under 50. 

Nella magistratura, su 9.787 giudici  5.308 (il 54,2%) è di genere femminile secondo i dati del Csm aggiornati al 2020. Un dato costante per tutti gli ultimi 20 anni e che non conosce differenze territoriali: le donne sono in maggioranza sia al Nord che nel Sud. Quello che manca, nella Giustizia, così come nella Sanità, o anche nel mondo universitario, è una parità di genere nei ruoli direttivi: ancora molto maschili.

Anche per questo motivo le pari opportunità rappresentano una delle dimensioni trasversali del Pnrr, e hanno un ruolo di primo piano in ognuna delle missioni del Piano, a cominciare da quella su Inclusione e Coesione. L’obiettivo è incrementare non solo l’occupazione, ma anche le competenze e le possibilità di carriera delle donne, rendendole non solo compatibili ma anzi incentivanti verso la maternità e la cura dei figli.