Il turismo in Italia e in Europa in questo primo scorcio del 2022 ha goduto di una ripresa anche superiore alle attese. Tuttavia, per tornare a un livello di arrivi internazionali simile a quello del 2019, prima della pandemia, si dovrà attendere ancora. Questa è la previsione dell’European Travel Commission (ETC), che riunisce 33 organizzazioni nazionali del turismo del Vecchio Continente.
Quest'anno il numero di visitatori provenienti dall’estero, quelli con la maggiore capacità di spesa, sarà ancora di circa il 30% inferiore a quello di tre anni fa. Nel 2023 il recupero consentirà di ridurre il gap al 10%, ma è solo nel 2024 che sarà finalmente colmato. Solo in Europa Occidentale, ovvero principalmente in Italia, Francia, Spagna. Quella orientale dovrà attendere ancora anni per tornare ai livelli del 2019.
Se, da una parte, i movimenti interni ai singoli Paesi e quelli tra Stati vicini del Continente sono ripresi, dall’altra, quelli a lungo raggio, ovvero soprattutto i flussi provenienti dagli Usa e dall’Asia, rimangono ancora molto al di sotto del livello prepandemico. Questi ultimi nel corso degli anni 2010 avevano vissuto una forte espansione, provocata dalla robusta crescita economica dei Paesi emergenti, ed erano stati una parte importante dell’incremento degli arrivi internazionali nella UE, passati dai 708,4 milioni del 2010 ai 968,9 del 2019 (da 73,2 milioni a 95,4 la crescita in Italia).
L’ETC prevede che dopo il grande aumento dei flussi di turisti stranieri nell’Unione Europa del 2022, pari al 98,6% nel 2023 vi sarà un’ulteriore salita del 21,2% e del 13,5% nel 2024.
L’Europa però perde importanza nel turismo internazionale
Analogo sarà l’incremento delle partenze “outbound”, ovvero dai Paesi UE verso destinazioni estere, europee o extra-europee. Più importante sarà il recupero di altre aree del mondo: +31,6% e +17,3% la crescita degli arrivi internazionali in Nordamerica nel 2023 e 2024, e +107% e +37,1% in Asia e nel Pacifico.
Si tratta naturalmente di stime con un altissimo livello di incertezza. A rendere molto volatili queste previsioni c'è la crisi energetica in Occidente, la fiammata inflazionistica e il rallentamento della crescita economica che potrebbe sfociare in una recessione in molti Paesi. Il ritorno della possibilità di viaggiare liberamente dovrebbe comunque costituire un sollievo per le casse dei Paesi europei, ma non si può ignorare il fatto che anche nel turismo il Vecchio Continente sembra destinato a vedere ridursi la propria importanza relativa nel globo.
In questo senso sono eloquenti le previsioni dell’ETC riguardo ai viaggi degli asiatici. Nell’ipotesi che riprendano, quelli a lungo raggio dei cinesi, dovrebbero vivere un incremento di quasi 13 volte entro il 2026, tenendo come riferimento i livelli, quasi azzerati, del 2021. Questa crescita del 1.178,5% si riduce però a un +289,2% se la destinazione è la UE. I cinesi privilegiano altre mete quando prendono aerei a lunga percorrenza, dal Nord America al Sud Est Asiatico.
Lo stesso per i giapponesi: i viaggi “long haul”, ovvero a lungo raggio, entro il 2026 aumenteranno del 3.515,3%, ma verso la UE l’incremento sarà del 592,9%. Andrà quindi a ridursi la quota europea nel turismo estero nipponico, che nello scorso decennio era del 19,4%. Accadrà la stessa cosa per quanto riguarda i viaggi degli australiani, degli indiani, dei canadesi, e, in misura minore, dei brasiliani.
Una importante e vitale eccezione sarà rappresentata dagli americani. Se nel 2016 a venire nella UE era il 22,3% dei cittadini Usa che si recavano all’estero, nei prossimi anni tale percentuale dovrebbe aumentare. La crescita stimata dei viaggi in Europa nel loro caso sarà del 481,2% entro il 2026, mentre i flussi verso Paesi stranieri in partenza dagli Stati Uniti saliranno mediamente meno, del 235%.