Da sempre gli uomini hanno cercato di proteggersi dagli imprevisti accumulando scorte. Anche gli Stati fanno lo stesso, ma invece di mettere da parte derrate alimentari accumulano riserve valutarie.
Si tratta di liquidità, depositi, titoli di Stato in una moneta diversa dalla propria. Perché lo fanno? Uno degli scopi è precauzionale, ovvero quello di essere in grado di effettuare spese impreviste in caso di shock ed emergenze. Le riserve, però, sono indispensabili anche per acquistare beni di importazione e onorare il proprio debito estero, e per dimostrare ai mercati che si sarà sempre in grado di farlo.
Un altro obiettivo è sostenere la propria moneta, e difenderla da una eventuale svalutazione, utilizzando la valuta estera detenuta per acquistare sul mercato la propria. Ad essere utilizzate come riserva valutaria sono quasi sempre divise di economie forti che garantiscono stabilità e oscillazioni limitate. Naturalmente si innesta un circolo virtuoso per tali monete: la loro adozione da parte del resto del mondo diventa essa stessa una delle determinanti della loro forza economica.
È il caso degli Stati Uniti e del dollaro, la moneta più utilizzata al mondo come riserva valutaria. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, aggiornati a fine 2021, dei 12.050 miliardi di dollari detenuti da tutti i Paesi, 7.087 erano nella divisa americana, pari al 58,8%. Segue, a distanza, l’euro, con 2.486, pari ad una percentuale del 20,6%.
Sono queste due monete a dominare il panorama delle riserve valutarie perché lo yen, per esempio, è al terzo posto in classifica con soli 672 miliardi di dollari, ovvero il 5,6% del totale. Segue la sterlina con 576 miliardi (4,8%) e il Renminbi cinese, 336 miliardi (2,8%).
La crescita del peso della moneta cinese
Le riserve italiane non fanno eccezione: secondo i dati di Banca d’Italia il 61,4% di esse sono detenute in dollari, mentre l’11,7% in yen e il 6,6% in sterline. Il dato più interessante, tuttavia, è quello che riguarda i cambiamenti in atto a livello mondiale. Il biglietto verde sta perdendo peso. Alla fine dello scorso secolo il 71,2% delle riserve mondiali erano in questa divisa, ma con il tempo la proporzione è andata calando scendendo sotto il 70% nel 2002 e arrivando al 65% circa nel 2006 per raggiungere il 61% a metà 2011 e, dopo una lieve ripresa (65% nel 2016), il declino è ripreso fino ai numeri attuali.
Il Pil americano, del resto, non rappresenta più la metà di quello mondiale, come era alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo sono emersi nuovi protagonisti economici come la Cina. La moneta locale, il Renminbi, infatti, tra il 2016 e il 2021 è passato dal rappresentare l’1,08% delle riserve mondiali al 2,79%. A crescere, però, sono state anche le quote delle divise di altri Stati, anche non emergenti. È il caso dello yen, per esempio, che nello stesso lasso di tempo (dal 2016 al 2021) è passato da meno del 4% al 5,57% odierno, o anche del dollaro canadese, la cui percentuale è salita oltre il 2%.
Le banche centrali stanno prendendo atto del fatto che siamo in un mondo ormai multipolare, e stanno cercando di diversificare le riserve detenute. Molti analisti ritengono che il trend possa subire un’accelerazione dopo il congelamento di circa il 60% delle riserve russe in seguito all’invasione dell’Ucraina. Si è trattato di un atto senza precedenti, che potrebbe spingere coloro che hanno riserve in dollari a spostarsi su altre divise. Come sta facendo la Cina, che possiede più di 3.100 dollari in moneta estera, molto di più di ogni altro Paese al mondo.