Era abbastanza prevedibile di fronte all’evidente rallentamento dell’economia che a dover scendere non fossero solo le prospettive di crescita del Pil ma anche la fiducia dei consumatori, il cui indice complessivo in ottobre è calato a 101,6 punti in una scala che vede i valori medi del 2010 uguali a 100.
È ancora superiore al livello di ottobre 2022, quando la paura di un’inflazione in doppia cifra l’aveva portata a 90,1, ma è decisamente inferiore rispetto al picco di 108,6 di giugno 2023. In particolare, l’indice che misura il sentiment sulla situazione personale degli italiani è passato tra giugno e ottobre da 102,2 a 98,6 punti.
Quello sul grado di fiducia delle imprese è, invece, a quota 103,9, in netto calo rispetto ai 110,2 punti di aprile. Per dare un’idea della gravità della percezione delle aziende basti dire che Il dato di ottobre è il più basso dall’aprile 2021, ovvero dalla fine delle restrizioni più dure del periodo pandemico. Le imprese “sfiduciate” operano in tutti i comparti; a fare eccezione sono quelle delle costruzioni, che vedono una fiducia molto alta, di 163,8, e, soprattutto, stabile.
Le imprese manifatturiere prevedono, in particolare, un calo degli ordinativi dall’estero: il saldo tra imprese che vedono un peggioramento e imprese che vedono un miglioramento è passato in sei mesi da 14,4 a 27,1. Pesa chiaramente la crisi tedesca, che nel 2023 è stata più severa di quella italiana, e non a caso è nei beni strumentali, molto presenti nelle nostre esportazioni, che la differenza tra i giudizi sugli ordini esteri e quelli sugli ordini interni è maggiore.
Per il 9% delle aziende manifatturiere la mancanza di personale è un ostacolo alla produzione, nel 2016 lo pensava meno dell’1%
Molto significativi sono i dati sulla percezione delle aziende manifatturiere sulla congiuntura. Se la percentuale delle imprese che vedono ostacoli alla produzione è piuttosto stabile, il 38,7%, crescono quelle che, come problema principale, individuano un’insufficiente domanda: nel terzo trimestre di quest’anno sono salite al 22,3%, contro il 16,3% di un anno prima e l’11,4% del terzo trimestre 2021. Allora erano considerati più importanti altri ostacoli, quali la mancanza di materiali e il sottodimensionamento degli impianti rispetto al carico di lavoro. Quest’ultimo fattore a inizio 2022 veniva citato come un problema dal 22,7% delle imprese industriali, ora solo dal 13,7%.
Ha invece assunto sempre più peso la scarsità di altre tipologie di risorse, quelle umane. Qui siamo di fronte a quello che sembra essere un cambiamento strutturale. Se prima del Covid a lamentare la mancanza di manodopera erano tra lo 0,5% e il 2% delle aziende manifatturiere, dalla fine delle restrizioni per la pandemia in poi vi è stato un costante aumento, fino al 10,5% del secondo trimestre 2023 e al 9% del terzo.
È singolare il fatto che nonostante l’industria italiana paventi un calo della domanda di prodotti, continui a lamentare una scarsità di personale. È inusuale durante i momenti negativi del ciclo economico, quando, anzi, l’occupazione tende a diminuire e vi sono più lavoratori alla ricerca di un impiego. Tutto ciò è indicativo sia dell’acuirsi della crisi demografica che del mismatch di competenze tra quelle richieste dalle imprese e quelle presenti sul mercato del lavoro. Sono due fenomeni presenti da tempo, con il primo che alimenta e aggrava il secondo. Le loro conseguenze diventano ora più evidenti.