I lavoratori occupati nel settore della tecnologia e dell’informatica sono sempre di più: sviluppatori, sistemisti, esperti di database, tecnici hardware, ma anche tutti i manager che devono sovrintendere a queste figure professionali. Complessivamente gli occupati in questa industry sono cresciuti di ben il 25,6% tra il 2011 e il 2021, arrivando alla cifra di 848.500 persone. Gli anni 2000 non hanno visto un’evoluzione altrettanto positiva, e, anzi, con la crisi finanziaria anche questo comparto ha subìto un calo della quantità di lavoratori e solo nel 2016 vi è stato un pieno recupero dei livelli del 2009. L’accelerazione successiva, tuttavia, non ha precedenti, e, dato significativo, non è stata scalfita neanche dal Covid.
Informatici e affini sono aumentati anche nel 2020, forse anche grazie al boom dei servizi digitali provocato dall’istituzione di lockdown e zone rosse.
I lavoratori dell’Ict, tuttavia, rimangono pochi se confrontiamo la loro proporzione sul totale degli occupati con quella degli altri Paesi europei. In Italia sono il 3,8%, contro una media europea del 4,5%. In Svezia raggiungono l’8%, in Finlandia il 7,4%, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo il 6,7%.
Oltre a Germania (4,9%) e Francia (4,5%) ci supera anche la Spagna (4,1%). A fare peggio di noi ci sono solo la Grecia e alcuni Paesi dell’Est come la Romania, dove gli informatici sono solo il 2,6% di tutti coloro che hanno un lavoro, la Bulgaria, la Polonia, la Lettonia e la Lituania.
Chiaramente a contare molto è la specializzazione del tessuto produttivo dei vari Paesi: l’Italia rimane molto focalizzata anche su settori in cui l’Ict ha un ruolo non di primo piano, dal tessile all’alimentare, al commercio e alla ristorazione.
Ma chi lavora in questo comparto nel nostro Paese?
Le donne sono solo il 16,1% nell’ICT
Sono pochi gli ambiti con una maggioranza maschile più netta. I dati Eurostat lo mostrano bene: tra tutti coloro che sono impiegati nelle aziende o nei servizi informatici le donne rappresentano solo il 16,1%.
Vi è stato un aumento rispetto al 2013 e al 2014, quando erano il 14,3% e 14,2%, ma se il confronto è, invece, con gli anni precedenti alla crisi finanziaria, vi sono stati dei passi indietro: le lavoratrici di genere femminile nell’Ict erano il 18,1% nel 2006. Naturalmente si deve sottolineare che allora il numero complessivo di chi era occupato in questo comparto era decisamente minore di oggi.
Gli altri Paesi presentano percentuali più alte su questo versante, ma non di molto. Mediamente in Europa le donne sono il 19,1% di chi lavora nel settore, con picchi in Romania e Bulgaria dove si tocca il 26% e il 28,2%. Qui, tuttavia, l’Ict è un settore veramente residuale, come abbiamo visto.
L’informatica e l’alta tecnologia rimangono ambiti a larghissima predominanza maschile anche in Francia e Germania, dove gli uomini sono il 79,1% e l’81% di chi è impegnato in questa professione.
Vi è certamente anche questo elemento alla base del gap salariale tra i generi: nell’Ict gli stipendi sono mediamente più alti della media, e la scarsa presenza di donne contribuisce a tenere bassi redditi medi di queste ultime.
Un aspetto su cui si avverte un divario ancora più ampio tra l’Italia e il resto d’Europa è quello dell’età. Nel nostro Paese solo il 27,2% dei lavoratori dell’informativa ha meno di 35 anni. Siamo ultimi. La media Ue è del 36,1%, e in gran parte dei Paesi dell’Est tale percentuale supera il 40%, fino al 56,1% della Lituania.
È probabilmente anche per questo motivo, ovvero per un’età media particolarmente elevata, che i lavoratori dell’Ict con una laurea in Italia sono sì tanti, il 41,3% del totale, ma comunque molto meno che altrove. Ovunque, infatti, superano il 50%, e in Francia e Spagna anche l’80%.
Pure su questo versante, però, i cambiamenti nel corso del tempo sono stati rilevanti: la proporzione di informatici e tecnici con un titolo universitario nel 2004 era meno della metà, il 19,6%. A dimostrazione di come questo settore sia quello che evolve più velocemente nell’economia italiana.