Il lavoro femminile è in ripresa. Dall’autunno 2021, il tasso di occupazione delle donne italiane è risalito oltre quota 50%: un traguardo per nulla scontato. Prima della pandemia questo livello era stato raggiunto solo nel 2019. Poi, a causa della crisi provocata dal Covid, era sceso, nel giugno 2020, a un minimo del 47,3%.
Il recupero è maggiore di quello che ha interessato gli uomini. Tuttavia, allargando lo sguardo al resto d’Europa, è evidente che la strada da percorrere è ancora molto lunga. Perché da noi solo una donna su due tra i 15 e i 64 anni lavora, mentre quasi ovunque la percentuale è ben più elevata. Mediamente, nella Ue la proporzione di lavoratrici arriva al 62,5%, secondo i numeri di Eurostat del 2020, da rivedere necessariamente al rialzo per questi ultimi mesi.
A innalzarla sono i Paesi del Nord e del Centro Europa. Nei Paesi Bassi, in cui il ricorso al part time interessa soprattutto le donne, il tasso di occupazione è elevato: arriva al 73,9%; in Germania è al 73,2%, in Svezia al 73,5%.
In sostanza, volendo escludere dal confronto le realtà dei Balcani, rimane unicamente la Grecia ad avere un tasso di occupazione femminile di un paio di punti inferiore al nostro.
Una delle conseguenze dirette di questi numeri è che, su 100 lavoratori, nel nostro Paese le donne rappresentano solo il 42,2%, nonostante costituiscano poco meno della metà della popolazione occupabile italiana.
Ovunque gli uomini sono di più, ma in pochi luoghi il divario è così ampio: in Portogallo, in Lituania e in Lettonia sono solo il 50,3%, per esempio, mentre solamente in Romania e a Malta la proporzione maschile è superiore a quella italiana.
Il dato diventa peggiore se ci riferiamo solo a chi ha tra i 15 e i 39 anni. In questo caso, la quota di donne occupate sul totale scende al 41,2%, e rimaniamo terzultimi nella Ue. Appare evidente come le croniche difficoltà dei giovani nel mondo del lavoro colpiscano ancora di più il genere femminile rispetto a quello maschile, nonostante negli ultimi anni le ragazze abbiano raggiunto livelli di istruzione superiori.
Nell’educazione la quota di donne occupate è maggiore che nella Ue
Vi sono, settori, però, in cui la percentuale di donne è molto più alta di quella media, sia in Italia che nel resto d’Europa. Ad esempio, nella sanità e nei servizi sociali, dove arriva al 73,9% nel nostro Paese e al 78,3% nella Ue. Non parliamo qui solo dei medici, ma anche di infermieri, Oss, del personale occupato nelle Rsa.
Nel settore dell’educazione, poi, la quota di lavoratrici italiane supera la media degli altri Paesi: in Italia, tra insegnanti, presidi, impiegati amministrativi, ben il 74,4% degli occupati è rappresentato da donne, rispetto a una media Ue del 72,3%. Questo sta a significare che le scuole e le università sono le uniche realtà significative in cui il ritardo italiano nelle questioni di genere è stato colmato.
Viceversa, in alcuni settori professionali la percentuale di lavoratrici non solo è molto più bassa, ma anche lontana dalla media Ue. Per esempio, nella manifattura, dove le donne sono solo il 26,6%, contro il 30,1% europeo.
Tra i gap più ampi vi è quello che caratterizza l’ambito della Pubblica Amministrazione, esclusi i grossi comparti di sanità e istruzione. Tra coloro che lavorano nei ministeri, negli enti locali, nella difesa, nella polizia, nella giustizia, solo il 35,3% è di genere femminile. In Europa si raggiunge il 49,3%.
Se consideriamo solo i più giovani, gli under 40, il divario è ancora maggiore: 27,8% contro 48,7%. Scontiamo evidentemente anche le limitate assunzioni nell’apparato statale degli ultimi 10 anni. A essere impiegati nella Pa sono soprattutto lavoratori anziani, reclutati in un’epoca in cui a entrare nel mondo del lavoro erano soprattutto uomini.
Solo il 41,1% dei lavoratori più giovani è donna
09-03-2022