Dopo le trasformazioni del post Covid in ambito economico, sembra essere arrivato il momento di una relativa stabilità, che a uno sguardo più critico, però, può sembrare anche stagnazione.
È il caso, per esempio, del mondo del lavoro. Secondo l’Istat, infatti, è diminuita la percentuale di quanti hanno cambiato condizione lavorativa, in qualsiasi direzione. Nel 2024 il tasso di riallocazione (il rapporto tra le persone che escono o entrano dall’occupazione e la somma di quanti sono occupati o, appunto, hanno visto un mutamento lavorativo) è stato del 10,7%, inferiore rispetto al 12,3% del 2023 e al 13,9% del 2022. A scendere, in particolare, è stato il tasso di riallocazione in entrata, che misura quanti passano dalla disoccupazione o dall’inattività all’occupazione, più che quello in uscita, che misura quanti per un motivo o per l’altro abbandonano l’impiego.
Significa che è diminuito il saldo tra ingressi e uscite dal mondo del lavoro, come del resto dimostrano anche le curve sull’occupazione, diventate nel tempo più piatte. Su 100 disoccupati, nel 2024 hanno trovato lavoro in 23, ma nel 2022 erano stati 28,5, mentre tra gli inattivi sono stati il 6,9%, contro il 9,6% di due anni prima. C’è comunque anche un dato positivo, ovvero la crescita della permanenza nell’occupazione: tra coloro che avevano già un lavoro nel 2024 sono rimasti occupati il 94,4%, più del 93,7% di due anni prima, con un incremento che nel caso del Mezzogiorno è stato anche più significativo della media, visto che si è passati dal 91,6% al 93,2%.
Questo è dovuto in parte al fatto che è terminato il fenomeno della Great Resignation (che in verità in Italia è sempre stato più limitato che altrove) ma soprattutto dipende dall’ulteriore diminuzione dei pensionamenti. A essere cresciuto di più, infatti, è stato il tasso di permanenza nel mondo del lavoro degli over 55, +2,2%.
Meno passaggi dai contratti a termine al tempo indeterminato.
In sostanza c’è minore mobilità, che si traduce da un lato in una maggiore stabilità occupazionale, dall’altro, però, anche in un freno al miglioramento della condizione di molti lavoratori e aspiranti tali. Il 96,1% di chi aveva un contratto a tempo indeterminato nel 2024 l’ha mantenuto (era il 95,3% nel 2022), ma la percentuale di occupati a termine che ha ottenuto un contratto permanente è diminuita in due anni dal 23% al 19,5% tra i giovani con meno di 35 anni e dal 22,2% al 18% tra tutti. Così, tra quanti si trovavano a svolgere part time involontario, il 55,4% è rimasto in quella condizione a distanza di 12 mesi, nel 2022, invece, erano stati il 53,7%. Al contrario, nello stesso periodo sono diminuiti dal 12,8% al 9,7% quanti sono passati al tempo pieno.
Allo stesso modo sono cresciuti coloro che non avevano un lavoro e sono rimasti nella condizione di non occupati, il 91% nel 2024, in salita rispetto all’87,7% del 2022. L’aumento è stato accentuato anche tra chi ha meno di 35 anni: dall’85,4% all’89,1%.
Tutto ciò accade mentre il tasso di occupazione italiano rimane, nonostante i progressi, tra i più bassi d’Europa. La strada da percorrere per recuperare la media europea è oggi minore rispetto al passato, ma rimane lunga.